Diaz, non pulire questo sangue (di Desdemona)
questo film racconta una ferita aperta
questo film evita una rimozione collettiva voluta da tanti, troppi, da quasi tutti
questo film è un film da vedere
questo film è un film che fa piangere d’orrore, e di sdegno
questo è un film da ricordare
chi dimentica è complice
chi dimentica è colpevole
chi dimentica è vigliacco
Desdemona
“La notte del 21 luglio 2001 vi fu la sanguinosa irruzione della polizia nella scuola Diaz di Genova, il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani, ucciso durante l’assalto a una camionetta dei carabinieri e mentre le strade di Genova erano devastate dai black bloc. La Diaz era stata scelta dal Comune di Genova come ostello per i no global arrivati da tutta Europa. Al termine dell’irruzione dei poliziotti del Reparto Mobile di Roma oltre 60 ragazzi rimasero feriti, alcuni dei quali in modo grave. La polizia arrestò 93 giovani, tutti poi prosciolti. Furono sequestrate 2 bottiglie molotov, trovate per strada e poi come sancito dai giudici, portate all’interno della scuola per giustificare gli arresti. Le immagini dei volti feriti, dei pestaggi, del sangue nei locali della scuola devastata fecero il giro del mondo come le parole del giornalista inglese Mark Covell, che subì lesioni gravissime. Uno dei funzionari di polizia imputati definì in aula la scena come una “macelleria messicana”. I magistrati della procura di Genova denunciarono l’atteggiamento non collaborativo dei vertici della Polizia.
La sentenza di primo grado assolse la catena di comando della Polizia ma 13 furono condannati, per complessivi 35 anni e sette mesi di reclusione. Successivamente i giudici della Terza sezione della Corte d’Appello di Genova hanno ribaltato la sentenza di primo grado, così condannando tutti i vertici della polizia a condanne tra 3 anni e 8 mesi e 4 anni unitamente all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Nel complesso le pene hanno superato gli 85 anni. In totale sono stati condannati 25 imputati sui 27, tra cui il capo dell’anticrimine Francesco Gratteri, l’ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini, l’ex vicedirettore dell’Ucigos Giovanni Luperi, l’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola, l’ex vicecapo dello Sco Gilberto Caldarozzi. Inoltre, altri due dirigenti della Polizia, Pietro Troiani e Michele Burgio, accusati di aver portato le molotov nella scuola, condannati a tre anni e nove mesi.
Non furono dichiarati prescritti i falsi ideologici e alcuni episodi di lesioni gravi. Furono invece dichiarati prescritti i reati di lesioni lievi, calunnie e arresti illegali. Per i 13 poliziotti condannati in primo grado le pene sono state inasprite. Il procuratore generale, Pio Macchiavello, aveva chiesto oltre 110 anni di reclusione per i 27 imputati.
A oltre 10 anni dal G8 di Genova, Amnesty International ha rilevato che solo un numero limitato di indagini e di procedimenti ha avuto luogo e che le autorità italiane non hanno ancora pubblicamente condannato e chiesto scusa per i maltrattamenti subiti dai manifestanti. L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto all’Italia di rafforzare le misure contro l’uso arbitrario e l’abuso della forza da parte della polizia, lamentando che poiché il codice penale italiano non prevede il reato di tortura, i pubblici ufficiali non sono stati incriminati per tale reato ma per altri che, sottoposti alla prescrizione, hanno portato sostanziale impunità. Al punto da scrivere che “Dal G8 di Genova del 2001, abbiamo assistito in Italia a 10 anni di tentativi largamente falliti di chiamare le forze di polizia a rispondere di fronte alla legge dei reati commessi contro i manifestanti” (Amnesty International 19.7.2011).
L’Italia deve ancora ratificare il Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura e istituire un meccanismo interno di prevenzione della tortura e dei maltrattamenti.
In Italia v’è un grave cortocircuito che deve essere interrotto tra legalità e democrazia che genera impunità in favore dell’antiStato che è divenuto nel tempo Stato. E’ tempo di cambiarlo, per sempre”
Marcello Adriano Mazzola, il Fatto Quotidiano