DON TONINO BELLO (di Vincenzo Palmisano)
Quando ho appreso la notizia che don Tonino Bello è stato proclamato Venerabile da Papa Francesco, ho aperto la mia collezione di ritagli di giornale, ho cercato e ritrovato un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno del 23 aprile del 1993 in cui il giornalista Sergio Annese raccontava la cerimonia funebre per il Vescovo di Molfetta, e ora ne riporto qui alcuni stralci.
“E’ stato un incrocio di ricordi, di aneddoti ed anche di lacrime. Così i cinquantamila partecipanti hanno tributato al loro pastore don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta e Presidente nazionale di Pax Christi, l’ultimo saluto.
Sono stati in tanti, nella cornice della banchina del porto della città pugliese, a partecipare al rito esequiale officiato da Mons. Magrassi, Arcivescovo Metropolita di Bari, e da Mons. Bettazzi, Vescovo di Ivrea e Presidente nazionale emerito di Pax Christi, oltre ai concelebranti Vescovi della Conferenza Episcopale Pugliese. Sono giunti da ogni parte di Italia, in particolare dal Salento, terra natale di Mons. Bello.
In questo momento dove forse prevale un sentimento di mestizia- così si è espresso Mons. Magrassi durante l’omelia- è anche tempo di speranza. Unico il filo che ha legato le parole del Presule nel tratteggiare l’opera e la figura di don Tonino Bello: anche la morte l’ha vissuta con lucidità, trasformando il suo letto in altare da dove ha concelebrato, anche poche ore prima di morire, l’ultima messa.
Un requiem interrotto solo dalla emozione, dalla stessa voce roca dei Prelati, dagli applausi della gente. In tanti, dai vigili urbani agli scout, dagli operatori della Croce Rossa a quelli del Ser, alle maestranze, hanno infaticabilmente lavorato per approntare l’altare in legno a ridosso del mare. A cingere il palco, frontalmente, da un lato le autorità politiche e istituzionali, dall’altro gli oltre cinquecento tra sacerdoti e seminaristi.”
Dal giorno del suo funerale io ho sempre visto nelle lacrime e negli applausi di quella folla la proclamazione popolare della Santità di don Tonino Bello.
L’ho vista perché solo un Santo come lui, assieme al Vescovo di Ivrea Monsignor Bettazzi, suo fratello spirituale, poteva entrare a Sarajevo, sotto le bombe, con cinquecento volontari pacifisti, per portare un germoglio di pace nella Serbia martoriata dalla guerra civile.
Perché solo un Santo, al principio degli anni ’90, poteva influenzare e convertire l’ingegnere Vito Alfieri Fontana, direttore di una azienda che produceva componenti di mine antiuomo, a smettere di fabbricarli.
Lo ha raccontato in una intervista su “Repubblica Bari”, il 22 gennaio 2022, ed ha aggiunto che poi, per vent’anni, rischiando la vita, si è dedicato allo sminamento dei territori in Bosnia Erzegovina, in Kossovo e nei Balcani.
Due miracoli, due grandi segni di speranza.
Ho ripreso quindi in mano alcuni testi di don Tonino, “Nelle vene della storia”, “Chiesa di parte”, “Appunti sulla alterità”, “Appunti sulla non violenza”, “Lettere di un Vescovo”, ”Testimone del Risorto”, “Da Abramo alla sua discendenza”, e, scorrendoli, mi sono immerso nel suo universo.
Affascinato dal suo ”nudo parlar chiaro”, ho ritrovato il poeta della pace, bene assoluto, lo scrittore e il comunicatore capace, con lo splendore delle sue metafore, di infiammare l’anima e di scuotere le coscienze dei credenti e dei non credenti.
“Parole infuocate”, così David Maria Turoldo, altro suo fratello spirituale, definiva lo stile di don Tonino.
Vincenzo Palmisano