IL MIO DIZIONARIO (di Vincenzo Palmisano) – 20^ parte
FESTIVAL
Chi ascolta e vede anche distrattamente il Festival di Sanremo, non può non ricordarne alcuni del passato.
Io, quest’anno ne ho ricordati due.
Il primo ( 1951 ) è quello della prima serata del primo Festival.
I miei fratelli, io, mamma, papà e i vicini di casa eravamo seduti davanti alla radio, come se fosse il palcoscenico di un teatro, quando, nel silenzio assoluto, la voce carezzevole di Nilla Pizzi, inondando la stanza di melodia, incise con note indelebili nella nostra memoria “Grazie dei fiori”.
A distanza di 70 anni, questa canzone è ancora uno dei tanti contrassegni degli anni’50.
Un’epoca che dette l’avvio alla ricostruzione materiale e spirituale dell’Italia uscita martoriata dalla seconda “inutile strage” del Novecento, e al boom economico.
Il secondo ( 1958 ) è quello che io chiamo “di quando a San Michele c’era il Circolo cittadino”.
Ubicato in Piazza, nella palazzina della famiglia Argentieri che fronteggia l’edificio scolastico, e presieduto dal dott. Giannotte, era frequentato dagli iscritti, soprattutto la sera, per vedere la TV.
E fu proprio lì e in una indimenticabile serata che Domenico Modugno, cantando “Nel blu dipinto di blu”, mandò in frantumi il melodico tradizionale e lanciò l’Italia nei cieli del mondo.
Quello fu per tutti un evento stupefacente, rivoluzionario. La mattina seguente ci ritrovammo tutti in piazza, sotto il Circolo, e non la finivamo più di commentare le parole, la voce e i gesti di uno strepitoso cantante-autore-attore, venuto dal Sud.
Aveva ragione Fernanda Pivano, madrina del movimento Beat americano, quando affermava che sono i grandi cantautori i nuovi poeti.
E Modugno è ancora uno dei più amati.
FISARMONICA
Ho ascoltato l’ultimo CD di Vince Abbracciante, il giovane e talentuoso fisarmonicista ostunese-sanmichelano, allievo del grande fisarmonicista francese Richard Galliano.
Ed è come se lo avessi ascoltato in uno dei suoi tanti concerti, in giro per il mondo.
Ho subito pensato a suo nonno Vincenzo Abbracciante, nato a Carovigno e sanmichelano di adozione, negoziante e fisarmonicista autodidatta.
Non c’è più da molti anni, ma è sempre vivo nel ricordo dei suoi numerosi allievi dilettanti, e di chi lo ha conosciuto.
Allora il paese era così piccolo che una sola fisarmonica suonava dietro ogni finestra.
E la sua è stata quella che ha allietato le feste da ballo nelle case e davanti ai trulli durante la nostra perduta prima giovinezza.
Una sorta di colonna sonora popolare che, in questo momento, non smette di farmi risentire la languida e struggente lentezza del tango e lo slancio euforico del valzer.
PUBBLIVORO
E’ un vocabolo raro. Lo trovate solo nei dizionari più aggiornati, e indica l’homo novus dell’epoca in cui viviamo.
Ossia colui che guarda con grande attenzione e interesse la pubblicità, specialmente quella televisiva, anticamera e motore del consumismo sfrenato.
Cioè, mangiatore vorace di spot e reclame di ogni genere, compresa quella della carta igienica a fiori e colori all’ora di pranzo.
NONSIPUOTISMO
Vizio inguaribile di chi, dicendo sempre “no, non si può, non si può”, si oppone alla risoluzione di antichi problemi.
Un ismo che non conoscevo. L’ho scoperto leggendo un articolo di giornale. E mentre per la prima volta lo scrivo, risento il clamore di chi da sempre protesta e ripete: ”Mettono il bastone fra le ruote, remano contro!”.
BEETHOVEN
Questa mattina ho posato sul piatto rotante del giradischi il vinile della sinfonia n.3 “Eroica” di Beethoven.
E quando è cominciato il secondo tempo, mi sono ritrovato nella Roma della seconda metà degli anni’50, quando la capitale d’Italia era ancora paese e metropoli, e non quella irriconoscibile di oggi.
E ho pensato ai funerali di Giuseppe Di Vittorio, il grande sindacalista pugliese.
Di quello storico evento ricordo gli strilloni alla stazione Termini che gridavano: ”Il Messaggero”, “Paese Sera”, “ è morto Di Vittorio!”, la folla oceanica del corteo, la commossa e commovente eloquenza di Pietro Nenni nell’elogio funebre dello scomparso davanti all’Università “La Sapienza”, il pianto dei braccianti di Cerignola venuti in massa a Roma, e soprattutto la marcia funebre suonata dalla Banda musicale dei Ferrotramvieri di Roma.
Non sapevo allora che quella marcia, che ascoltavo per la prima volta con una emozione mai provata, fosse il secondo tempo della sinfonia Eroica di Beethoven.
Un’opera che George Marek definì “Uno dei maggiori capolavori d’arte di tutti i tempi”. E aggiunse: ”Un uragano di emozioni che travolge il cuore, una vampa di gloria”.
Vincenzo Palmisano
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