PANE E OLIO (di Edmondo Bellanova)
Nella sala consiliare di San Vito dei Normanni si doveva esaminare: sviluppo e prospettiva per l’olivicoltura. La sala era fredda per via della distanza fisica che si crea tra il pubblico ed i relatori, divisi da una teoria di banchi vuoti. Il freddo è sceso anche subito dopo aver ascoltato il coordinatore Giannone che ha premesso l’opportunità di non dibattere di xjlella e lebbra. La conferenza è quindi diventata irreale, ” virtuale” con saluti e ringraziamenti, disamine sul “bello” degli ulivi, del territorio, turismo e ristorazione. Si è convenuto che l’olivicoltura non gode di buona salute e la diagnosi ha trovato nell’arretratezza imprenditoriale del nostro mondo agricolo una delle cause maggiori. Siamo troppi e troppo piccoli e non siamo riusciti a creare quel “sistema” che avrebbe potuto risolvere tutti i problemi.
Siamo solo vecchi contadini e pensionati, per lo più ignoranti di nuove tecnologie agricole e commerciali; coltiviamo la terra quasi solo esclusivamente per hobby e così restando siamo destinati al “fallimento”.
Il senatore Stefano ci ha raccontato la sua struggente esperienza familiare con odori di vino ed olio; di vecchi nonni orgogliosi del prodotto del loro lavoro e di giovani che hanno abbandonato i campi perdendo ogni radice con la loro storia. Tutto ovviamente per colpa”nostra” che abbiamo lasciato i campi, l’agricoltura, per cercare fortuna della siderurgia nella chimica e nell’industria pesante; mentre la politica sembra esente da qualsiasi responsabilità. Ora, ci dicono, possiamo guardare con fiducia al domani ed in una nuova olivicoltura solo se riusciamo ad organizzarci in cooperative.
La cooperazione c’è presentata come il toccasana di ogni difficoltà. Ho provato ad enunciare alcuni dei problemi che gli olivicoltori si trovano ad affrontare sul terreno e nell’elencarli davo per scontato che il rappresentante istituzionale si rendesse conto che non tutto è addebitabile al fatalismo dei nostri contadini perché buona parte di colpa è addebitabile alla politica che sembra abbia deciso di ostacolare lo sviluppo agricolo, divertendosi quasi a creare difficoltà, ad imporre lacci e laccetti di ogni genere, di fatto, a bloccare lo sviluppo ed ogni possibilità di nuove prospettive.
Gli olivicoltori si potranno anche costituire in efficienti cooperative ma la Xjlella e la lebbra devono essere studiate, controllate, ci auguriamo vinte, dagli organismi scientifici di stato; la politica d’integrazione dei popoli nord africani deve trovare attuazione non solo con la dissennata importazione-agevolata di olio tunisino; non si può subire la complessità di una normativa antinfortunistica non calata nella realtà del mondo agricolo; il prezzo non può essere stabilito solo dal monopolio francese e spagnolo; la sofisticazione deve essere combattuta finalmente in modo efficace; senza aspettare la cooperazione, lo stato, le regioni, i comuni dovrebbero sentire la necessità di aggiornare, sostenere, consigliare, guidare gli agricoltori. E per finire è mai possibile che la normativa d’interesse agricolo europea e regionale sia scritta in un farraginoso burocratese assolutamente incomprensibile ai più e solo appannaggio di una selva di consulenti, praticoni, sindacalisti, patronati e associazioni di categoria che in questo guazzabuglio trovano ragion d’essere?
Il senatore Stefano si augura che la società tutta si faccia carico della crisi dell’olivicoltura con un cambiamento culturale partendo dall’educazione dei giovani e dalla compartecipazione di tutti i settori dell’economia. La strategia potrebbe sembrare logica e opportuna ma … gli olivicoltori riusciranno a sopravvivere ad annate come questa ultima nella quale si è raccolto solo il 10/20% della produzione passata e non si è riusciti a fare un litro d’olio commestibile?
Ma questo è,forse, solo il canto di un cigno !
Sanmichelesalentino11.02.2017edmondobellanova