A piedi nudi (Desdemona)

Disorientata e incredula, poggio la ragione in fiorite stanze di rose appassite e accarezzo le inquietudini che pervadono il corpo sempre più proteso verso la stanchezza che mi mangia a morsi.

Mi tolgo le scarpe, e scalza attraverso incerta il corridoio del mio dolore, scoprendo una fortezza costernata e ripiegata in felicità mai assaporate, lontane dalla certezza e anche dalla vita, insalubre e impotente al cospetto di strade interrotte dalla neve che nemmeno il sole di un agosto come questo è riuscito a sciogliere.

Mani che non spazzano, che tormentano tuttalpiù e spalmano colate di lava e cioccolato fondente sporgendo torridi sorrisi senza tremori, mentre le dita scorrono veloci ed entrano nel mio corpo scostando il lembo di stoffa rossa che mi copre da una nudità che sarebbe volgare.

Rifiuto la normalità.

Mi spaventa ciò che diventa organizzato, le agende sono come dei fucili puntati alle tempie e la ragionevolezza annienta i sogni. Riesco a disprezzare un tramonto quando la goduria non esplode, e potrei ammanettarmi alla notte se la luce non regalasse momenti di quiete indelebile, momenti perversi e dedicati alla fisicità che deturpa gli incantamenti, che sottrae pregiudizi e affonda feconde verità in apparati incongruenti, specificando la sorgente dei pensieri, ma non la loro morale, non la loro titubante falsità da sempre sorella della menzogna, prigioniere entrambe del corpo della donna che resta immobile nella violenza umana che non conosce limiti.

Il senso di colpa schiaffeggia ogni labile contorno magico, e il dissapore diventa sfregio e marca confini che spengono gli amori, gli orgasmi, le lotte con noi stesse.

E’ brivido quello che mi percorre la schiena, mentre le olive cadono e nessuno le raccoglie in tempo, l’odore è nauseante, il mio naso non riesce a liberarsi.

La terra è umida, io resto scalza, sporcandomi, ma gioendo all’ebbrezza di sentire il freddo gelo dell’inverno assalirmi il corpo e congelarmi finalmente l’anima.

Buonanotte.

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