Stefania Lombardi
Ti chiamerò sommo poeta, maestro, sognatore, rivoluzionario, genio.
In due parole: Mario Monicelli.
Un pezzo di storia è volato via ma la storia resiste a ogni volo e la sua storia resta come pure vivido è il ricordo dei suoi magnifici film che hanno segnato un’epoca e una nazione.
In Toscana è intoccabile pietra miliare per i film di “Amici Miei” che narrano le vicende di un gruppo di amici spesso in partenza per le loro “zingarate” e che della “supercazzola” hanno fatto una maestra di vita.
Nonostante il clima goliardico e le gag esilaranti, in sottofondo si percepisce una velata tristezza per la condizione umana.
Il maestro sapeva mescolare humour e fantasia, comicità e tristezza come solo un grande può fare.
Dopo tutto, “cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione” (da “Amici Miei”, Atto I).
E per dirla con un suo personaggio, il “Marchese del Grillo”: “io sono io e voi non siete un c…o” (da “Il Marchese del Grillo”).
E’ facile sentirsi nulla davanti a tanto sapere, a tanta fantasia, a tanto umano sentire…
Ma tutta questa grandezza si è dissolta.
E noi ricordiamo.
Ricordiamo “I soliti ignoti”, “La ragazza con la pistola”, “Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno”, “Parenti Serpenti”, “I Mostri”, solo per citare i più noti.
Il nostro poeta aveva comunque il suo film preferito, ovvero: “L’Armata Brancaleone”, vero testamento della condizione italiana, emblema di quel partire senza meta e senza scopo, dove ciò che veramente conta è andare, verso dove non si sa, sia pure con un’armata arrangiata, ma che importa: noi abbiamo fantasia.
Il perché di un tale gesto da uno che, nella sua ultima intervista parlava di Rivoluzione?
“Gli italiani, gli intellettuali, gli artisti, sono poco coraggiosi? Sì, lo sono sempre stati. Sono stati vent’anni sotto un governo fascista, ridicolo, con un pagliaccio che stava lassù. Avete visto quello che ha combinato. Ci ha mandato l’Impero, le falangi romane lungo Via dell’Impero; ha fatto le guerre coloniali, ci ha mandato in guerra. Eravamo tutti contenti, che c’era uno che guidava lui, pensava lui, “Mussolini ha sempre ragione”, tutti stavano “bòni e zitti”. Adesso il grande imprenditore ha detto: «Lasciatemi governare, votatemi, perché io mi sono fatto da solo, sono un lavoratore, sono diventato miliardario, vi farò diventare tutti milionari».
Benissimo, hai voglia: sono 15 anni che aspettano e credono. Gli italiani sono fatti così: vogliono che uno pensi per loro. Se va bene, va bene. Se va Mario Monicelli male, poi lo impiccano a testa sotto. Questo è l’italiano. Gassman e Sordi ne “La Grande Guerra”? Avevano una loro spinta personale, un orgoglio, una dignità della persona che noi abbiamo perso, completamente.
Ormai nessuno si dimette, siamo tutti pronti a chinare il capo pur di mantenere il posto, di guadagnare. Pronti a sopraffarci, a intrallazzare. Uno la prima cosa che fa è di mettersi d’accordo con un altro per superare le difficoltà. Non c’è nessuna dignità, da nessuna parte. E’ proprio la generazione che è corrotta, malata, che va spazzata via. Non so da che cosa, non so da chi. O meglio: lo saprei. Ma lasciamo andare.
La speranza è una trappola. Una brutta parola, non si deve usare. La speranza è una trappola inventata dai padroni, quelli che ti dicono «state buoni, zitti, pregate, che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà, perciò adesso state buoni, tornate a casa – sì, siete dei precari, ma tanto fra 2-3 mesi vi assumiamo ancora, vi daremo un posto. State buoni, abbiate speranza». Mai avere la speranza. La speranza è una trappola, è una cosa infame, inventata da chi comanda.
Come finisce questo film? Non lo so. Io spero che finisca con quello che in Italia non c’è mai stato: una bella botta, una bella rivoluzione. C’è stata in Inghilterra, in Francia, in Russia, in Germania, dappertutto meno che in Italia. Quindi ci vuole qualcosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto, che è trecent’anni che è schiavo di tutti. Se vuole riscattarsi, il riscatto non è una cosa semplice. E’ doloroso, esige anche dei sacrifici. Se no, vada alla malora – che è dove sta andando, ormai da tre generazioni” (Intervista del 25 marzo 2010 a Monicelli in “Rai per una notte”).
Un combattente fino all’ultimo che si arrende?
Nessuno è nella testa di questo grande uomo, ovvio.
E poi l’argomento è talmente delicato che provare a parlarne causa sempre polemiche, posizioni politiche, discussioni animate e varie che, alla fine, ci si dimentica dell’uomo e della sua particolarità, della sua unità.
Shakespeare, attraverso Amleto, diceva: “Vera grandezza non fu mai combattere senza grandi motivi; ma è pur grande trovar causa di lite in una paglia, s’è in gioco l’onore.”
Forse il maestro ha voluto affrontare qualcosa di più grande, forse era in gioco l’onore. Forse.
In un paese abituato a giudicare sia in un senso che nell’altro, non sarebbe male, una volta tanto, e per rispetto all’uomo, applicare la tanto decantata dagli stoici “sospensione del giudizio” o “epoché” (traslitterazione del greco antico “ἐποχή” ossia “sospensione”), ovvero l’astensione da un determinato giudizio o valutazione, qualora non risultino disponibili sufficienti elementi per formulare il giudizio stesso.
Ricordiamo e rispettiamo l’uomo, un grande uomo.
Solo questo conta.
Chi era Mario Monicelli?
“Era un uomo, un uomo vero, in tutto, come non ne vedrò più.” (da “Amleto”, Shakespeare)
Stefania Lombardi
Ciao Ste. Non faccio commenti. Dico solo che a 90 anni, da lucido, ha fatto bene.
Fatti vedere! Un bacio.
Ste, la penso come te.
Se ci sei, ci vediamo il 28.
Bacione
La lancetta dei minuti tocca il 6
la lancetta delle ore tocca lo 0
niente di eccezionale, ha fatto quest’uomo
se non prendersi ciò che spetta a tutti di diritto:
la libertà di poter scegliere
allontaniamoci dal mito dell’eroe
quando possiamo godere della
sua maestria, e dei suoi film.
Riposi in pace.
Amen.
Ciao Mario
Desdemona nella pancia della balena