Aumento delle trivellazioni e chiusura di fonti rinnovabili: ecco il perché

Riceviamo da Pietro Azzarito e di seguito pubblichiamo:

Da uno studio commissionato da GreenPeace ad Althesys, emerge che il bacino delle fonti rinnovabili in Italia nel 2013 (all’inizio del crollo verticale derivante dai recenti provvedimento governativi) valeva 6 miliardi di euro, con 50.000 unità di sola occupazione diretta.

Perché il Governo allora ha deciso di intraprendere una guerra contro il solare, si chiedono operatori, istituti di consulenza e associazioni ambientaliste, rivolgendosi al Premier Renzi.

Dal luglio 2005, che ha visto l’uscita del primo decreto di incentivazione di questa produzione solare, il cosiddetto “Conto Energia”, si sono susseguite, in senso peggiorativo, altre 5 edizioni del programma, fino al termine degli incentivi, sancita con decreto del luglio 2013. Ciò che caratterizza gli ultimi indirizzi governativi (governi Monti, Letta e Renzi) non è tanto la drastica e precoce riduzione delle tariffe incentivanti fino all’abolizione delle stesse, ma la preoccupante mancanza di un quadro certo di riferimento normativo per qualsivoglia investimento, dall’impianto industriale a quello domestico in autoconsumo.

La volontà di stroncare la diffusione del fotovoltaico è dimostrato da un elenco di provvedimenti tra cui i principali:

  • riduzione sostanziale e retroattiva degli incentivi per gli impianti fotovoltaici più grandi, e modifiche delle modalità di pagamento per i più piccoli, con sostanziale sconfessione delle apposite convenzione sottoscritte dal GSE (Gestore di Servizi Energetici) con gli utenti (Decreto detto “Spalmaincentivi”);
  • drastica riduzione del corrispettivo per l’energia prodotta dagli impianti ed immessa in rete; mentre l’energia elettrica prelevata si paga oltre 20 c€/kWh, secondo i contratti stipulati con il fornitore, quella ceduta alla rete vale per il Governo 4-5 c€/kWh;
  • eliminazione dei Certificati Verdi per la produzione da fonti rinnovabili, incentivazione rea di aver determinato un vigorosa espansione della produzione eolica;
  • introduzione di “tetti” e di un sistema di “aste” per limitare e frenare l’assegnazione di nuove potenze impiantistiche, con procedure burocratiche che, come era prevedibile, hanno scoraggiato i potenziali investitori.

Infatti gli effetti sugli investimenti sono in controtendenza rispetto all’andamento UE, in cui negli ultimi anni la quota di potenza elettrica rinnovabile installata rispetto al totale è in continuo aumento (79% nel 2014) mentre in Italia si è avuto un brusco calo delle installazioni. Nel fotovoltaico si è passati dai 9000 megawatt installati nel 2011 a 400 megawatt nel 2014; il nuovo eolico, installato nel 2014, si è ridotto del 70% rispetto al 2013. Tendenze negative che sono continuate o ulteriormente peggiorate nel 2015. In questo contesto ostile, molte aziende italiane che operano nel settore hanno chiuso sedi o trasferito produzioni e impianti. Nel 2014 l’88% della potenza installata da imprese italiane del settore si è realizzata all’estero. Secondo il Rapporto IREX 2015, presentato lo scorso aprile, il 2014 ha registrato in Italia un drastico calo degli investimenti nelle fonti rinnovabili delle imprese italiane, che hanno dirottato i loro investimenti all’estero. Dei 551 megawatt fotovoltaici installati nel 2014 dalle imprese italiane, solo il 5% sono stati realizzati in Italia. In diminuzione anche gli impianti a biomassa.

Per dare una spiegazione a queste scelte energetiche, è utile allargare l’analisi all’intero comparto energetico e collegare alcuni segnali significativi.

Prendiamo ad esempio la situazione dell’Eni dal 2005 al 2014  che ha visto un dimezzamento dell’utile da 17 a 8 miliardi di euro. E non solo per effetto del basso prezzo del petrolio, ma anche per scelte sbagliate, come mostra il caso Kashagan, un giacimento di petrolio e gas, bollato da

l’ “Economist” come “il più grande fallimento dell’industria petrolifera”, costato finora alla sola Eni 9 miliardi di dollari e non ancora in produzione.

Anche Saipem chiude oggi i bilanci in perdita: “Saipem, perdite per 920 milioni. . . (www.ilsole24ore.com)

Alla vista di questi dati qualcuno potrebbe dedurre che la potente lobby delle  “ fonti fossili ”, si sia attivata per arrestare o almeno frenare la dilagante diffusione delle fonti rinnovabili in Italia a favore di trivellazioni petrolifere e gasdotti. Solo nel medio e basso Adriatico, nello Ionio e nel Canale di Sicilia sono attivi una quindicina di permessi di ricerca già rilasciati, mentre sono pronte un’altra cinquantina di richieste per ricerca, prospezione e concessione, (vedi isole Tremiti) (http://www.repubblica.it/ambiente/2016/01/10/news/trivellazioni_tremiti-130953769/) per un’area complessiva interessata di circa 130.000 kmq.

Con il Decreto “Sblocca Italia” del settembre 2014 il Governo ha previsto, calpestando direttive comunitarie e autonomie regionali, facilitazioni alle compagnie del petrolio e del gas. Anche l’ostinazione dei ministeri competenti in appoggio alla realizzazione del gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline), che dovrebbe approdare nel Salento, (http://www.quotidianodipuglia.it/brindisi/emiliano_tap_brindisi_decreto_ad_hoc-1560118.html) nonostante i vistosi cali di consumo di metano a livello europeo e nazionale, mostra come le scelte siano dettate più da pressioni lobbistiche che da valutazioni obiettive e indipendenti.

Tuttavia, nonostante l’impegno, questa campagna governativa è destinata nel medio-lungo periodo a fallire; ormai gli scenari a livello mondiale puntano, in modo ormai irreversibile, verso modelli decentrati e basati sulle fonti rinnovabili. Queste resistenze lobbystiche potranno tuttavia provocare molti danni alla nostra economia soprattutto per il mancato aggancio delle nostre comunità alla green economy. Rischiamo così, a causa di scelte tutt’altro che trasparenti, di prolungare l’agonia di fonti obsolete ed inquinanti, come quelle fossili; ma anche di perpetuare per le tecnologie rinnovabili, delle cui fonti siamo peraltro così ricchi, la stessa dipendenza dall’estero che abbiamo sofferto per decenni nelle tecnologie legate al petrolio.

Così, mentre anche gli arabi ricchissimi di petrolio realizzano megaimpianti fotovoltaici e termodinamici, noi rischiamo di devastare ampie aree marine e terrestri per ricavare una fonte energetica che darà un contributo al fabbisogni nazionali di pochi percento per un orizzonte temporale che non supererà pochi decenni.

Il futuro in ogni caso, in linea con le più recenti direttive comunitarie e le previsioni dei più autorevoli centri di ricerca, sarà caratterizzato dalla produzione diffusa da fonti rinnovabili, che arriveranno a coprire la gran parte dei fabbisogni, relegando le fonti fossili ad un ruolo residuale. I nostri grandi enti energetici, dovranno accettare questa realtà ed evolversi in questa direzione. Non si tratta solo di seguire i principi dell’ecologia o di combattere i cambiamenti climatici, ma di attenersi a basilari regole del libero mercato.

Verrebbe da dire a questi lobbisti: se non vi interessa salvare l’ambiente pensate almeno di  salvare il vostro portafoglio.

Fonti:

www.qualenergia.it

www.economist.com

www.ilsole24ore.com

www.quotidianodipuglia.it/brindisi

http://www.repubblica.it/ambiente

www.assorinnovabili.it

http://www.galileonet.it/2016/01

 

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