Lu pusce (di Nicola Romanelli)

Dal libro “Il gusto della mela” scritto da un sammichelano doc. Nicola Romanelli questa volta ci propone “Lu pusce”.

A Massarianova, per ogni cosa che accadeva e non sapevano spiegare, si credeva che nei sotterranei si aggiravano strane creature, tanto che raramente qualcuno si avventurava di notte ad uscire da solo. Un brivido pietrificava il sangue al solo pronunciarne il nome: lu pusce, li lavuriyedd, li cuppulin russ, li muriscjän…

A Massarianova, nelle serate calde, afose d’autunno, le donne stanno a smozzicare le fave, sotto la scialba luce comunale, io guardo attratto il buio minaccioso oltre l’arcata alle spalle delle donne, sull’altra facciate delle case.

Di giorno da lassù si andava sui tetti coi compagni e compagne, Masin Pippin Ninin e Nenett  per le nostre avventure ma di notte, non mi passava neanche per la testa di salire, per me un mare oscuro, un crepaccio senza fondo, un mondo popolato da mostri minacciosi.

Mi stringo ai piedi della mamma che avverte i miei brividi e sorride lontana dall’immaginare i pensieri che passano nella testa del figlio. La nottata è estremamente afosa, magari un soffio di vento, sospira la donna,   o meglio ancora si alzasse invece la tramontana, che porta quel bel venticello rinfrescante, inutile speranza.

Accontentiamoci così com’è, era la filosofia dominante di quella gente semplice. Può capitare di peggio, quindi meglio accontentarsi di come stanno ora le cose.

Si godevano la compagnia, ed era tanto, al contrario delle nottate d’inverno che piombavano come un fulmine sulle loro giornate, e rintanati in casa andavano a letto senza gusto aspettando che si riaffacciasse il nuovo giorno, e così di giorno in giorno si sperava che l’inverno volasse via, tornasse la primavera per stare fuori insieme tra la gente, coi vicini di casa, con chiunque, non da soli, che tristezza, via questi pensieri!

Altro che afa, io avevo il ghiaccio sul petto. Era tale l’orrore che voltavo il capo dalla parte opposta. Ero teso, fantasticherie e dicerie mi passavano in quel momento per la testa, e poi le donne se la ridevano raccontandosi delle ore notturne di muriscjän cuppulinruss pusc e lavuriedd che si aggiravano nei dintorni. Lo sapevo lo facevano di proposito per prendersi gioco di noi piccini e anche per tenerci buoni. Il caldo ci aveva resi esuberanti e i loro racconti cui non credevamo ci avevano resi alquanto riflessivi e guardinghi. Insomma ci eravamo calmati ed era questo lo scopo di quelle befane. Ora erano loro ad avere il dominio del campo, che stizza ci davano quelle galline che si azzuffavano per il mangime.

Ogni tanto impercettibili rumori mi facevano trasalire, provenivano oltre l’oscura arcata, e mio malgrado sudavo freddo. Mi convincevo che i fantasmi esistevano davvero, non erano solo fantasia.

La notte prima avevo sognato i fantasmi e adesso sentivo che dovevo andare, andare a vedere e avevo un solletico nella pancia.

Nel nero denso dell’arcata, si materializza  una forma bianca e fosforescente sul lato alto.

Il mio urlo raccapricciante ipnotizza le operose donne, che individuano subito di che si tratta e ne sono anch’esse terrorizzate dalla visione.

Scappano urlando abbandonando tutto sulla strada. Anche loro da bambine credevano nei fantasmi e ridevano delle nostre paure per respingere le loro.

Fave e scorze ovunque e thiangl frantumate, (lastre di pietra) un macello! Quella vista mi aveva distratto e fatto passare la paura, ero quasi divertito e solo alla mercé dei fantasmi.

Anche i fantasmi ridono, si contorcono e sbucano da sotto i lenzuoli Nucc e Michlin con le candele in mano. Ma la loro euforia non dura tanto, si girano e impacciati dalle lenzuola scappano per le scale sui tetti inseguiti dalle comare riavutesi inviperite per aver mostrato la loro debolezza davanti a tutti e con scope si erano buttate contro quei fantasmi giocherelloni, e guai per loro se fossero stati presi.

Riescono però a scamparla e riappaiono sul bordo del tetto di fronte, con gestacci mentre le brave donne riavutosi ridono e si affannano a riassestare la strada e ritornano alle loro faccende scompisciandosi dalle risate  nel commentare il parapiglia di prima.

Entusiasmato m’infilo nelle scale. I fantasmi esistono solo nella fantasia. Arrivo sul tetto e nel buio trovo solo le stelle che come occhi fosforescenti mi osservano fisso.

Mi rendo di colpo d’essere solo. Nucc non si trova e nemmeno Michlin, neanche l’ombra.

Sono stato ardito e imprudente.

Forse sono scesi dalla parte opposta, dove conosco bene si trova un’altra scala che porta sull’altra strada parallela alla nostra.

Il dubbio s’insinua piano e mi sento gelato, non oso guardare altrove, ho paura di muovermi.

Con uno sforzo riesco a urlare e all’istante mi getto giù per le scale come per sfuggire alla presa feroce di un mostro che si avvicinava. Fortuna che salto gli scalini senza rompermi l’osso del collo. Più tardi ho ripensato su questo particolare e non riesco a immaginare come abbia fatto ad evitare il capitombolo a buttarmi alla cieca su quella rampa di scale.

Forse mi dicevo la conoscevo a memoria per il via vai continuo che si faceva durante il giorno.

Le donne scuotono la testa mentre io cambio il rantolo in una risata sgangherata per far credere che giocavo.

Corro in casa scosso dalla paura. I fantasmi ci hanno giocati, con le sembianze di Nucc e Michlin ed io sono corso loro dietro.

Non erano stelle quegli occhi nascosti tra le stelle che mi guardavano fisso fisso, e il dubbio si era infiltrato dentro il sangue congelandomi.

È tardi, anche i grilli dormono. Le donne stanche di chiacchierare e soddisfatte del fresco e delle fave mozzicate, come il loro solito fanno tutto in fretta e si rintanano nelle loro stanze, non senza aver guardato in fondo, lontano nel fondo della strada due sagome avvicinarsi lentamente. Nucc e Michlin si ritirano a casa, vengono dalla piazza, ormai i lampioni si sono spenti. Nessuno parla. Le donne si ritirano portando in casa sedie e canestri.

Rosa sommessamente dice a mamma che pocanzi ha visto un cuppulin russ che scendeva e risaliva le scale, e si era trattenuta dal dirlo prima per non spaventare le povere comare.

Per non rimanere al buio della casa, me ne ero tornato accanto a mamma, e il sangue gela non solo nelle mie vene. Guardiamo verso l’arco delle scale e un guizzo, breve come un fulmine a ciel sereno, appare e scompare per le scale.

-          Li muriscjän – mormorano Rosa e mamma, facendo alcuni passi verso l’uscio di casa, rabbrividiscono, si danno la buona notte e si ritirano.

-          Ma, che sono li muriscjän! – balbetto dalla paura.

Una candela rischiara il buio della camera. Ria, insolita per la sua natura, ride e insegue Lina, gridando: io sono la muriscjän, io sono la muriscjän!

Cosimo rientra fischiettando le note allegre di bivim nata vot, (beviamo un’altra volta)  canzona in voga nelle bettole e dietro sopraggiunge Nucc arrabbiato.

-          Pazzi sono diventati questa sera i cristiani. I vicini di casa mi hanno visto sotto un lenzuolo con la candela in mano. Con quelle candele che si trovano sulle tombe del camposanto! Ueh  ma’ (oh mamma), hanno detto che pure tu mi hai visto! –

-          Vai a coricarti che é tardi – gli risponde quieta la madre e soffia sulla candela.

Io butto i calzoni sulla spalliera della sedia vicino alla parete, guardo verso la porta, e sotto l’uscio vedo un zigzagare lucente, poi buio come prima.

Zitto zitto mi butto sul letto tra Batudd e Nucc.

Nzin svegliato dalle mie gomitate comincia a piagnucolare.

-  mbeh, ho finito, e vorrei sapere chi sono li muriscjän! –

-  Colì – chiamò na muriscjän che si era fermata poco distante sulle loro teste.

-  Colì, tu non mi hai visto, porti il mio nome, sono tuo nonno Nicola, il padre di tua madre! –

Colin restò a guardare quella diafana figura, non sapeva come dirrlo, e disse: quando morite diventate così, per questo vi nascondete qua sotto!

Il Vecchio pose la sua mano lieve come una piuma di pua(papera) sulla testa di Colin e lo confortò: uno specchio invalicabile divide i vivi dai morti. Le anime dei trapassati vedono i vivi. Si vive in due mondi uguali e paralleli. Ma adesso proseguiamo il cammino, guarda stiamo passando sotto sobb’Ataén, sali quelle scalette e scosta quelle radici.

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