Il canneto (di Nicola Romanelli)
Dal libro “Il gusto della mela” scritto da un sammichelano doc. Nicola Romanelli questa volta ci propone “Il canneto”.
Nella foto, della famiglia Romanelli, Nunna Letchye, Cosimo, Danodda, Batudd.
I due intrepidi, con cautela, badando dove poggiano i piedi, s’inoltrano nel centro del canneto, dove avevano adocchiato le canne più grosse.
Martin è dietro, osserva che nessuno li sorprenda.
- Vieni, aiutami a spezzare questa, vedi, è la più robusta, – Colin lo invita. Lui gli si avvicina, afferrano la canna e la piegano di lato per sradicarla o almeno spezzarla…
Improvviso sotto i loro piedi si fa il vuoto, precipitano e si ritrovano sbattuti in una fossa, con la canna ancora stretta in mano!
Sono seduti sui ciottoli, coi piedi immersi in ghiaia e acqua. Il soffitto sulle teste é un intricato groviglio … di serpi. La paura serra la gola … poi notano che tutto è stranamente immobile …sorpresi della loro ingenuità ridacchiano della loro paura …quei grovigli sono le radici del canneto.
Alle loro spalle c’è un cunicolo in fondo al quale un chiarore fioco, un misto di verdegiallo, l’incuriosisce.
Colin con un piede finisce di spezzare la canna separandola dalle radici e la sferza nell’aria, dandosi coraggio. Ora possiede un’arma tagliente e invita Martin a seguirlo: – Andiamo, con questa in mano nessuno mi fa paura. –
Martin raccoglie da terra un pezzo di canna, spezzatasi nella frana, ed eccolo spavaldo e baldanzoso.
Andiamo a vedere, fa lui, – e muovono i primi passi su un fondo sabbioso, soffice e compatto, comunque rassicurante. I due esploratori si rallegrano, felici d’essere fuori dal pantano.
L’aria che li attornia è umida, gradevolmente calda.
Raggiungono il fondo del cunicolo, dove erano certi aver visto dei barbaglii, e notano che si allarga continuando in un’ampia curva.
Percorrono un buon tratto della lunga curva, e finalmente sono attirati da un fitto riverbero di luce argentea.
Senza più esitare corrono, spinti dal desiderio di conoscere la causa, e superata la curva dal pendio leggermente in discesa, sbucano in una vasta conca dalla volta altissima. Un piccolo laghetto giace ai loro piedi. Sulla sua placida superficie danza un universo di fiammelle.
Ecco da dove proviene il riverbero!
La luce traspare dalle rocce soprastanti come quelle belle nottate di luna piena, e tutt’intorno è macchiato d’argento.
Nella parte opposta del laghetto fosforescente si vedono altre arcate da cui bagliori e ombre si alternano come se all’interno ardessero enormi falò.
Per proseguire non hanno altra scelta che quella di andare a nuoto! Colin raggiunge un alto scoglio e in una piccola rientranza scorge incredulo una barca.
Eccitato scende bene attento lungo lo sperone roccioso quasi a picco e raggiunge il fondo dove essa giace. Tasta col piede se sia stabile e assicuratosi senza oltre esitare vi salta dentro.
Martin gli è già alle spalle, si cala anche lui e lo raggiunge. Non sono mai stati in una barca, e non sanno cosa siano i remi, che d’altronde non ci sono, s’inginocchiano e con le mani remano, dirigendosi verso il centro del laghetto.
Le mani a contatto con l’acqua sfavillano, come se avessero argento colato. L’acqua è limpida, profonda, sul fondo guglie affilate fanno rabbrividire i due sognatori che istintivamente sollevano le mani dall’acqua.
Guardano in alto e capiscono che la volta si rispecchia nel laghetto in modo sorprendente.
Le pareti d’avorio, il fondo d’argento, tutto liscio piatto, sembra proprio un lavoro eseguito da uomo.
Raggiungono sudati il lato opposto, vi saltano su. Non hanno dubbi, è sicuramente opera di qualcuno. Di chi!
Giganteschi fasci di luce vorticano dalle alte volte.
Colin lancia sulla sommità del muro compatto di grossi sassi la canna per avere le mani libere e si arrampica fino in cima.
Attorno è deserto, una strada lastricata si perde in una delle gallerie.
Martin visto il volto sicuro di Colin scala anch’egli la parete.
Giù notano grossi blocchi di pietre, lisce, rettangolari, predisposte.
Curiosi si appoggiano al muro affacciati ad ammirare il laghetto sotto i loro piedi.
Improvvise dallo specchio placido spuntano due figure mostruose, i ragazzi invasi dal terrore scappano scendendo dal muro e riparandosi oltre le pareti d’un cunicolo vicino.
Ai due non sfugge che anche i due mostri si siano nascosti urlando. Dopo aver atteso tremanti, in un silenzio paralizzante, guardano ammaliati il luccicante riverbero del laghetto.
Colin sporge la testa dal nascondiglio e vede emergere dall’argentea acqua una testa mostruosa.
Fulmineo si ritira per non farsi scorgere. Tiene la canna sollevata, pronta ad usarla.
Poi trae dall’incoscienza della sua adolescenza un insano coraggio, e balza in avanti.
Martin urla terrorizzato. Parla, muove le labbra, ma dalla gola non gli esce alcun suono. Gli occhi spalancati, fissano il muro sopra la testa del compagno.
Un’ombra gigantesca, minacciosa è sulla parete.
Colin corre verso il centro allontanandosi dal muro.
Adesso quegli esseri silenziosi sono fermi sulla parete di fronte, impugnano ciascuno una enorme clava, decisi come le rocce intorno.
I due ragazzi indietreggiano d’un passo e si bloccano, le ombre avanzano d’un passo e attendono.
Colin alza la canna e uno dei mostri agita l’enorme bastone.
I due terrorizzati si buttano a terra per evitare la mazzata e con stupore e sollievo, scorgono che anche quelle losche figure, si acquattano.
Martin scuote la testa incredulo, gli balena nella testa una strana idea.
Egli raccoglie un sasso e lo lancia, ma simultaneamente l’altro raccoglie un macigno e lo scaraventa.
A squarciagola scappano a più non posso, quando nello spasimo del panico, si avvedono di stare a correre dietro i mostri che corrono a gambe all’aria proprio davanti ai loro piedi.
Si trattengono l’un l’altro per frenare e non sbattere contro quelle curiose figure, e lo stesso fanno loro, bloccandosi.
Tutti e quattro scuotono la testa.
Si rendono finalmente conto di essere stati terrorizzati dalle loro stesse ombre.
Di fianco si apre un tunnel ampio e lattiginoso, vi entrano, e le due ridicole ombre svaniscono, scomparse nella parete rocciosa.
Ai lati della grande caverna, scorgono enormi blocchi, e osservando attentamente più da vicino, notano che sono legni lavorati, pietrificati, d’argento!
Un brontolio fievole alle loro spalle li scuote e attratti più dalla curiosità che dal timore dell’ignoto, intrepidi si dirigono in quella direzione per scoprire cosa sia.
I bagliori sono intensi, sembrano ombre minacciose di un gigantesco incendio.
Il livello della corsia scende lievemente in larghe svolte, il soffitto anche tende ad abbassarsi.
Le pareti del corridoio ben livellate sono distanziate da passare comodamente con due traini.
Avanti intravedono una trasversale, rallentano, non si sa mai le sorprese, non hanno scordato il laghetto incantato.
Raggiunto l’incrocio con cautela vedono sorpresi quattro carri, non come li conoscono loro, sono delle bighe che si usavano al tempo dei romani.
Sembra tutto in ordine come in attesa dei cavalli.
Tutto è pulito, l’aria gradita ricorda un odore caratteristico, sul momento non sanno cosa, poi si sente più forte, inconfondibile: è come latte di mandorlo – sussurrano all’unisono.
Ma nell’intimo di se stessi aspettavano con timore di vedere comparir qualcuno.
Avanzavano verso il rumore che ora sentono distintamente. Davanti v’è un lungo e diritto corridoio.
Le ombre si accavallano, mescolate a rumori fragorosi, i colori cangiano dal giallo al verde, poi viola argento a lenta successione in un’armonia dei sensi che addolcisce l’occhio e i sentimenti.
Giungono su un ampio piazzale sbarrato da un muro possente. Oltre un fiume straripante, l’acqua ribollisce tra macigni color dello zolfo. Dall’acqua fuoriesce una forte luce che origina quelle ombre come lingue di fuoco.
Alla sinistra il corridoio si allarga ed essi come ipnotizzati, incuranti del tempo lo seguono. È tutto strano, un luogo misterioso, deserto e non lo temono! Anzi sono invasi da una certa euforia, solo un pizzico di pensiero corre ai genitori. Forse sono in pensiero per loro, ma si ripromettono di non indugiare troppo, torneranno indietro appena hanno visto ciò che li incuriosisce.
— Colì! ueh Colì, svegliati, come dormi stamattina. Guarda il sole, c’è Martin che ti cerca! —
Mi stropiccio gli occhi: ma dove sono – domando imbronciato.
Martin e mamma ridono divertiti.
Mi sollevo, infilo i calzoncini prendo una frisa che spuntava da un fagotto posato sulla sedia di paglia dirimpetto il camino ed esco di corsa col mio compagno.
Batudd sta vicino il canneto, taglia le canne per fare nuove sceye. (canne unite l’un l’altra da un fil di ferro a entrambi le estremità per l’essicazione dei fichi)
In mezzo al canneto si vedeva un largo abbassamento, cosa che prima non si era mai visto.
– Guardate lì, cosa vi dicevo, il terreno è sprofondato. – ci fa Batudd.
– Batù, è vero che l’acqua finisce al mare? – gli chiedo.
– per forza, dove vuoi che vada! –
– allora sotto c’è un fiume –
– tanti e vanno tutti al mare –
– allora se scendiamo giù arriviamo al mare di qua –
– e chi lo sa. L’acqua s’infila dappertutto. Là sotto si muore! È pericoloso, non vi avvicinate, andate via … che pensieri vi salta nella testa … scendere là sotto! –
– Martin, io mi ricordo che siamo stati là sotto, dillo pure tu, se no non mi crede! –
Martin sgrana tanto di occhi:
– cosa devo dire io Colì, ti è girata la testa? vieni ti porto a vedere, ho trovato due tartarughe. Ne vuoi una? –
I due compagni corrono, spensierati come lo sono gli adolescenti felici d’essere bambini.
Al tramonto la famiglia al completo è radunata attorno la tavola.
Fave e patate! Per chi lavora in una campagna esigente ci vuole un nutrimento solido.
Di norma sono solo fave, ma la mamma quella sera ha aggiunto tre grosse patate portate da Cosimo avute da un compare mentre transitava sul suo terreno. Si erano messi a chiacchierare solo per scambiare qualche parola, una gentile usanza, e nell’accomiatarsi, cumba’Ndunucc gli mette in mano quelle tre patate:
- na Co, è passato ieri mio cugino Natalin, te lo ricordi, abita verso la Vurrée, mi ha lasciato un sacchetto. Provali con le fave! Beh, non farmi stizzare, lo sai com’è, una mano aiuta l’altra no!
Tutti mangiano con appetito e con più gusto che altre volte, mentre Cosimo racconta come ha avute le patate lodando e benedicendo quel grand’uomo di cumba’Ndunucc.
E accolgono con gran sollievo la frescura che la serata porta. Un venticello, caso raro, accarezza non solo la pelle ma pure il cuore di quella semplice gente.
Colin che mangerebbe pure la pignata per l’appetito che ha sempre, gli dicono infatti che ha il verme solitario per la sua magrezza, a tavola sembra svogliato.
Finito di leccare il piatto, prende una frisa da sopra la credenza, fissata sul camino nel trullo, la spruzza con l’acqua della menza(una brocca di terracotta) badando a non versarne a terra, ci spiaccica due pomodorini, un pizzico di sale, strofina un ciuffo d’origano e va dalla mamma a farsi versare due gocce d’olio.
- Le fave, sono buone le fave Colì, ne vuoi ancora? –
Colin morde la frisa senza rispondere, gira attorno il tavolo, assorto guarda verso il canneto.
La luna tonda, sembra triste nel cielo profondo.
Il trullo brilla d’argento.
Gli ulivi, i mandorli, i fichi, la terra, la gente attorno, tutti sono coperti d’argento.
- Ora so perché sotto i nostri piedi è tutto d’argento- pensa ad alta voce.
- Magari fosse come dici – sospira il padre!
Finito l’ultimo boccone della frisa, beve una lunga sorsata d’acqua dal boccale:
- vado a coricarmi – aggiunge e va nel buio del trullo a rannicchiarsi sul giaciglio di paglia.
Il piacevole scricchiolio gli fa compagnia e in men che non si dica già dorme beatamente.
Il fiume è talmente impetuoso che viene inzuppato da gocce colorate di zolfo. Ha il viso bagnato. Le sue mani e il volto di Martin sono del colore delle nespole mature.
- Come è buffo – ride Colin.
- Andiamo Martì, vediamo dove finiamo da questa parte.
Avanti, in quel gioco d’ombre che si susseguono nel lungo ampio corridoio, scivola pian pianino un fascio di luce verdegiallo come le prugne che crescono sull’albero di fianco alla lamia(casupola quadrata con tetto a cupola) di sobb’Ataén.
Passa e ripassa na Muriscän,( un guizzo di luce) poi fulminea s’infila in una traversa e sparisce con una risata, così sembra a loro.
- Hai sentito – gli chiede Martin.
- Vieni, andiamo, con questa canna non ho paura di nessuno, qualcuno sta giocando con uno specchio.
Poco più avanti si arrestano davanti un muro massiccio, al centro un portone anch’esso di pietra, e in mezzo, incorniciato c’è un gran specchio ovale.
Sotto uno scritto in geroglifici che a loro non dice proprio niente.
Con sorpresa s’avvedono che il portone è solo socchiuso, essi sono spinti da tanta curiosità che non hanno alcun timore, assieme spingono il portone che scorre invece leggero ed entrano attratti dalla vastità del luogo.
Al centro un altare di pietra nuda e liscia trasparente e luminosa, al fianco una statua raffigurante una persona seduta, grandezza naturale, dal volto impassibile ma non incute paura, anzi la sua serenità invoglia ad avvicinarsi.
La statua è fosforescente, composta di ombre e luci, ma i ragazzi sono convinti che sia una persona ad attenderli.
Gli occhi sono lucenti, sulle labbra sboccia un lieve sorriso.
L’atteggiamento è più eloquente delle parole. Sono spinti a sedersi, infatti tutt’intorno vi sono dei nudi sgabelli. I due si accomodano intimoriti.
– Non volevamo disturbare, siamo caduti qua dentro, ma siamo contenti di trovarti, non vogliamo rubare niente. –
Il dio continua a sorridere.
Era l’oracolo che gli antichi consultavano nei momenti cruciali della vita.
Colin non sa cosa fare. Pensa, forse l’altro non risponde, preferisce ascoltare quello che hanno da dire.
Vede ombre intrufolarsi nelle pieghe del suo vestito. Un lenzuolo lindo come un giglio e cangia colore a intervalli regolari e ai ragazzi sembra pure svolazzare.
– Colì, davanti una statua siamo seduti e parliamo come i fessi ! — sussurra Martin.
Increduli, timorosi si avvicinano, lo toccano. È proprio una statua!
I fanciulli senza avvedersene han fatto quello che facevano i potenti, nei tempi lontani, in quell’aula. Avevano bisogno di domandare. Il dio era lì per ascoltare.
Oltre l’altare, vedono un’altra porta simile alla prima, si dirigono e vicini osservano lo stesso specchio, con sotto quei curiosi disegni di uccelli soli e lune e qualche animale che non hanno mai visto. Ma non se ne curano tanto quanto il rumore come d’un fruscio che odono oltre .
Sentono il ventre attorcigliarsi, euforia e timore assieme, sperano di trovare qualcosa, qualcuno che vive il quel mondo sotterraneo fantastico e bello da abitare.
Appena entrati, tra le ombre del corridoio scorgono un essere con un berretto rosso in testa e un sacco color verde foglia di fico in spalla.
Sembra una scimmia che d’un balzo sparisce in uno dei tanti cunicoli esistenti ai lati dell’ampio corridoio.
Non intendono farselo sfuggire e gli corrono dietro ma l’apertura dove la strana figura si è infilata é troppo stretta. Una fessura da cui proviene un raggio di luna. In alto infatti la luna e bianchissima. Sono attoniti!
Delusi tornano sui loro passi, per fermarsi davanti un altro portone assai solido e alto più dei precedenti.
Al centro è scolpito un elmo, sotto un’armatura con ai fianchi due lance e una spada corta e sotto in piedi uno scudo rettangolare e convesso.
Sopra in alto sull’elmo osservano i soliti animali, ma questa volta sono impressionati dall’aria severa dell’armatura.
Senza scambiarsi una parola, audaci spingono con forza ma sono costretti a desistere. Si rendono conto che è chiuso.
Tornano sui loro passi, il corridoio ampio é fiancheggiato da altre aperture, caverne allo stato naturale.
Da esse si sprigionano bagliori e rumori come tonfi di enormi macigni.
Sono investiti da vampate caldissime.
L’indomabile guizzo che li spinge a conoscere cosa avviene supera il freno della loro prudenza e imboccano senza esitazioni la grotta più larga tra le tante che sono attorno avanzando lentamente con gli occhi ben aperti.
Giungono sull’imbocco di un immenso crepaccio, dalla volta altissima e larga da non distinguere la fine.
Resistono al calore che si fa di volta in volta sempre più intenso e d’un tratto si arrestano spaventati da ciò che appare ai loro occhi: un mare verdegiallo ribolle ed erutta a grande altezza materia solida come la pasta che le mamme usano per fare il pane.
Tutt’intorno è un inferno di colori foschi.
Dense sbuffate di vapori giallastri e le butterate pareti attorno verde argento e dalla volta pendono stalattiti enormi come cipressi che crescono all’entrata del cimitero.
Improvvisamente sentono fremere sotto i piedi il terreno roccioso, il terrore subentra alla contemplazione di prima e fuggono.
Affannati lasciano alle spalle le grotte e s’immettono nei corridoi fortificati dove aleggia una certa aria di sicurezza.
Nell’affanno della corsa i due ragazzi scorgono davanti a loro un uomo vestito d’una tunica rosso porpora, modo inconsueto di vestire, pensano ma rassicurante.
Avvicinandosi osservano il grosso naso, una fronte spaziosa, ornata da capelli canuti e radi, e si regge ad un bastone.
Curvo dagli anni sembra attenderli.
Per Martin è quasi una liberazione dall’incubo trascorso e dalla stretta della solitudine.
Desidera correre incontro quella figura che gli sembra docile, mansueta.
Colin con la canna che non ha mai lasciato lo trattiene, non desidera che accade al suo compagno qualcosa che debba pentirsene davanti i suoi genitori.
- Aspetta Martì, lui è vecchio e possiamo scappare dove vogliamo se vuol farci del male, ma se ti avvicini troppo dove scappi? –
Il vetusto appoggia il bastone alla parete e volge loro le spalle sedendosi sul bordo sporgente della stessa parete.
Dalle ampie pieghe estrae un rotolo di papiro, simile a quelli che il maestro a scuola aveva mostrato su un libro, lo dispiega e lo esamina attentamente.
- Ma quello non era la statua che abbiamo visto? – domanda Martin sconcertato.
- Martì, questo si é mosso, l’altro era una statua o noi abbiamo pensato che era una statua. Che ne so io! Non mi pare un cattivo cristiano. Andiamo a vedere. Ma apri gli occhi, tienti a distanza!
Riluttanti avanzano come se camminassero in un serpaio.
Il vecchio si solleva in piedi a fatica, riprende il bastone.
Il rotolo di pergamena riposto spunta da una piega della tunica.
Tra le rocce sporgenti nelle cavità della volta, tra il ribollire della grande impastata sporgono esseri piccoli ma dal viso di vecchi, tutti vestiti allo stesso modo, berretto rosso su arruffati capelli ruggine, pantaloni incolori da cui spuntano piedi, con orrore i ragazzi notano che non sono piedi ma qualcosa simile a zampe di capre!
A tracollo portano un sacco.
- Li cuppulin russ! – mormorano impauriti. – e corrono d’istinto a rifugiarsi in cerca di protezione ai fianchi del vegliardo. (gnomi della fantasia popolare di Massarianova)
- Qui non si gioca. Si porta rispetto per il cimitero. –
Ai bambini sembra una voce che viene da lontano, eppure si rendono conto che proprio il vecchio ha parlato. Lo riconoscono, lo stesso viso della statua.
- Noi non stiamo giocando. Vogliamo andare al mare. Mio fratello ha detto che qua sotto le acque finiscono al mare. Dicci dove dobbiamo andare. – conclude l’intraprendente ragazzino.
Sorride soddisfatto il venerando. Anche lui quand’era giovane per il desiderio di sapere e conoscere non esitava a rischiare d’essere deriso. Quante volte impavido poneva domande su domande da suscitare reazioni che innescavano infinite discussioni.
- Ebbene, v’indicherò la strada se voi darete un po’ d’aiuto a questi miei amici. Essi vanno a spigolare dove i contadini hanno raccolto e raccolto un’altra passata.
- Proprio noi dobbiamo aiutare chi ruba bambini – lo interrompe Colin, contrariato.
- Non rubano!- prosegue il vecchio. – Prendono per ridare. Le spighe tralasciate non viste. Le mandorle perse in delle fessure. Le pere i fichi le ulive cadute e non trovate.
Una qui una là tanta bontà andrebbe perduta e invece, toh, guarda caso, come mai non l’ho vista prima, ma dove avevo la testa? per il buon cuore dei cuppulin russ qualcuno resta sorpreso, è felice, quanta gioia per un nonnulla ritrovato! E si apprezza e si ringrazia per quel che si ha!
Essi sono di buon cuore, amano far ritrovare quelle piccole cose perse e fanno salti e capriole nel vedere le facce stupite e il cuore che vi balza in gola.
Guarda benevole i due ragazzi :
- Li accusate di rubare i bambini, avete terrore di essi e invece vi proteggono con tanta simpatia.
Vagano per posti solitari, amano la natura selvatica delle pezze,(terreni pietrosi, selvatici) e ruderi abbandonati, in attesa del giorno della trasformazione.
Un tempo erano burloni, e con scherzi e lazzi se la spassavano a ridere degli altri, senza curarsi delle conseguenze del loro spasso.
- Ma cosa dobbiamo fare per andare al mare? – prova a interromperlo ancora Colin che non riesce a seguire il discorso del Vecchio.
- Ebbene, promettetemi di domandare “ perché” a tutto quello che vi dicono. A tutti, ai genitori, ai maestri, ai compagni. –
I due si guardano e ridono di gusto.
- Non abbiamo capito niente, perché dobbiamo dire perché. Sappiamo che è così, e non c’interessa di com’é perché! – risponde Martin con un pizzico di malizia. Ride imitato prontamente da Colin che lo approva.
Sorride pure il canuto per l’allegria dei fanciulli poi aggiunge come se parlasse a se stesso:
- Perché, è il nutrimento della mente come il pane per lo stomaco. Promettetemi almeno di provarci. –
- Va bene, mi piace, é un gioco facile, ci stiamo, vero Marti? –
- Si va bene, basta che non ci prendono per fessi – acconsente anche Martin.
I due si scambiano uno sguardo interrogativo, pensano che il vecchio sia un po` stonato(suonato) ma alla mano.
- Senti un po’, cristiano, adesso ce lo ci dici da dove andiamo al mare!-
- Cristiano? – Mi chiamavano Socrate una volta.
- Sor a te! ( tua sorella!)
- So-cra-te – scandisce il vecchio e prosegue :
- Ho capito, conosco la strada e sebbene sia lunga mi fa piacere accompagnarvi. Ho tante cose da domandarvi. –
– Perché ci vuoi domandare perché? – e ridono tutti, Colin, Martin, il Vecchio e i Cuppulin russ!
Gli intraprendenti fanciulli si sono tuffati in quel clima di gioco tipico della loro età, e tale lo considerano stare con quel vecchio, mezzo matto ma buono, pensano infatti.
Camminano spensieratamente quando dal cunicolo laterale sbuca un coniglio. Si arresta imbambolato, come pure gli astanti.
In un battibaleno, il coniglio viene circondato da una miriade di esseri fantastici, curiosi e festosi. Svolazzano, guizzano, trottano.
I due sono stupiti nel riconoscere in quegli esseri guizzanti, trasparenti e lucenti li Muriscjän, non li immaginavano con occhi, con una figura umana luminosa, fosforescente, senza arti!
Tra i cuppulin russ notarono con un certo timore degli esseri minuscoli, non raggiungevano i loro ginocchi, si dissero, ed esclamarono contemporaneamente: Matonn, li lavuriyedd! e si strinsero al vecchio.
Li lavuriyedd erano infatti esseri dalla testa grande, un viso allegro come di uno in procinto di farti uno scherzo.( altri esseri minuscoli della fantasia della gente di Massarianova)
Le gambe e le braccia corte e le manine come quelle di un neonato.
Il coniglio anche lui sembrava stupito e non mostrava segni di paura, alzava il muso aperto con due bei dentoni e il cuore che gli batteva forte.
Il vecchio si avvicinò e un varco rispettoso si aprì al suo passaggio.
Parlò in una lingua sconosciuta. Uno dei cuppulin russ si portò in braccio il coniglio con tenerezza e saltando corse via.
- Quel coniglio potevi darlo a noi, sai che bella mangiata ci hai fatto perdere!- dice Colin quasi imbronciato al vecchio.
- Si è smarrito, ha detto, ed ora lo porta nel recinto di Mingucc il Monaco, quello che ha il fondo attaccato al tuo. Come vedete i cuppulin russ non rubano. –
- Non rubano! – fece Colin che non credeva minimamente a questa storia. Lina mi diceva sempre di non andare da solo nella pezza perché ci sono i cuppulin russ che rubano i bambini. Anche la mamma me lo diceva, pure a te Martin, tua madre te lo diceva, diglielo che è vero! –
Martin asseriva con la testa, preoccupato.
Sopra di loro, molto vicino le loro teste, lampeggiavano le muriscjän. tante assieme non avevano nemmeno pensato che esistessero.
Notarono che ridevano tutti, li lavuriyedd si erano avvicinati e saltellavano con allegria.
Uno si fece avanti – Colì – disse, io sono quello che veglio il tuo sonno, mi sei simpatico, e tante volte non resisto, accarezzo i tuoi capelli, e per farti capire che ti voglio bene, che ti sono sempre vicino, ti faccio il nodo ai capelli.
La mattina quando tua madre ti pettina e scopre il nodo, sono felicissimo nel sentirla ridere di cuore e dirti che a farti quel nodo è stato lu lavuriyedd.
Colin e Martin si toccavano dietro la testa e meravigliati sentirono tra le loro dita il nodo ai capelli.
Erano fenomenali con quelle manine, anche ad occhi aperti non si erano accorti quello che facevano dietro le loro spalle tra risate quelle creature.
Tra tanta allegria i due presero coraggio, ridevano anch’essi e Colin addirittura volle prendere in braccio quel folletto che gli aveva parlato.
- Non farmi il solletico, diceva con una vocina acuta.-
- Come ti chiami – chiese Colin
Martin intanto spinto dalla curiosità con l’indice gli spingeva una spalla.
Lu lavuriyedd rideva beatamente.
- Come ti chiami, hai un nome tu? –
- Colin – risposero tutti in coro, tutti quelli che svolazzavano attorno.
- Cosa volete – si preoccupò Colin, sentendosi chiamare-
- È me che chiamano, disse lu lavuriyedd che Colin teneva ancora in braccio. Tutti loro mi chiamano come te perché sto sempre con te! –
- Ed io sono Martin – fece un altro, molto vivace, dal viso rotondo, come quello di un ubriacone. E saltò in braccio a Martin, arruffandogli i capelli.
- E i sacchi, perché portate tutti voi quei sacchi in spalla, perché? – chiese Colin che ancora non si fidava del tutto dei cuppulin russ? –
Tutto attorno come per magia d’un tratto fu immobile come se una fata con una bacchetta magica li avesse pietrificati. Nessuno rideva, erano tutti sconsolati, quasi un velo di tristezza.
Il vecchio non sembrava per niente impensierito, anzi sorrideva:
- Perché? Perché? – è la domanda più bella, più intelligente che un bambino deve fare! Con meno fatica s’i impara in fretta, tutto quanto si vuol sapere, e molto di più. Bravo, Colì!-
Dovete sapere che essi vestono così, è la loro divisa. Non potrebbero farne a meno. Essi hanno l’abitudine di spigolare, e tutto quello che trovano, ripongono nel sacco e poi a suo tempo, quando ritengono opportuno, ridistribuiscono con vero divertimento. Il loro spasso sta proprio nel far stupire la gente e farla gioire di cose che normalmente non ci farebbero caso.
Colin ancora non appariva del tutto convinto, gli dispiaceva aver causato colla sua domanda imbarazzo a quegli esseri che in cuor suo credeva buoni, però, c’era ancora un però che lo teneva sulle sue.
–Allora – disse quasi per liberarsi di un peso – perché spaventate i bambini e anche i grandi, come quella sera mentre la mamma e le vicine di casa muzzicavn li fäf! –(sbucciavano le fave)
– Non sanno resistere dal fare scherzi – per questo poi devono compiere azioni di sollievo per bilanciare quella loro mania. Risposero serio serio Colin e Martin, i due che ancora stavano in braccio ai ragazzini.
- Li muert … la paura che mi avete fatto quella sera!
non lo fecero finire di parlare, l’allegria era tornata nell’aria come quando Cosimo al tramonto del sole, appiccava il fuoco a llu ristucc.(paglia di grano) Una vampata d’ilarità, un via vai come attorno alla cassarmonica al culmine della festa del patrone di Massarianova.
- Raccontami, mentre proseguiamo il cammino verso il mare, cosa ti hanno combinato questi burloni – chiese un po’ incuriosito il Vecchio.
Aveva la sensazione che il racconto era inutile, immaginava dall’ilarità suscitata quando aveva accennato alla paura di quella sera, però il Vecchio lo prendeva sul serio, e lui si sentiva importante e inorgoglito cominciò a raccontare, saltellando intorno al Vecchio e cercando di acchiappare qualche muriscjän di passaggio sulla sua testa. Ma queste si sottraevano con un guizzo fulmineo.
- Allora – iniziò – il fatto che racconto, la notte prima l’ho sognato, e poi mi è successo la sera dopo. Il sogno me lo sono tenuto per me, non sono fesso da farmi ridere sopra. Nessuno crede a queste fesserie! Pure io che un pensiero per la testa ce l’avevo, credo non credo, non ero sicuro!
- Allora, se veramente lo vuoi sentire, adesso te lo racconto (nel prossimo capitolo).
—-
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[...] Il canneto (di Nicola Romanelli) Categorie: Arte e cultura, Territorio e tradizioneTags: memoria > Nicola Romanelli [...]
l’ho riletto e mi sono divertito come la prima volta. Mi sono ritrovato come nei miei sogni, nei sotterranei della terra salentina, che non so spiegarmi ma ho sempre creduto che esistono davvero! E in quei sotterranei mi sono ritrovato tra tutti quei folletti che in massarianova la gente credeva esistessero solo nella fantasia. E invece esistono davvero!
Da anni coltivo il sogno di ricercare tutti i soprannomi di San Michele ma è sempre più difficile acquisire dati perché gli anziani diventano sempre più pochi ed i giovani non hanno “memoria”.
Leggendo il racconto di Nicola ho riscoperto che l’aurieddë ( “ingiuria di Michelë di Vitalonghë) esiste veramente! Ho ricordato tutte le testimonianze che concordano sulla effettiva esistente dell’esserino curioso!!
Michelë Panesazzjë è serio quando ricorda la criniera arricciate della loro scjumentë ed i capelli arruffati di Maria la Cifrë e non ho motivo per non credergli. Meglio perdersi nei labirinti infiniti di una “vola” per cercare il mare che assistere inermi allo sfacelo della nostra società.
Edmondo, detto da te, comincio a traballare, veramente non mi aspettavo tsnto! Quello che mi ha stupito é l’allarme che hai lanciato, stiamo messi veramente così male che preferisci stare nei meandri della terra! Io dò una speranza, o meglio l’illusione di una speranza, l’attaccamento tenace alla nostra terra, alle nostre tradizioni, alle nostre radici. In confidenza ho scritto a Rocco di andare alla contrada Cotogni col sindaco Pietro e di mettere le transenne al canneto,per evitare che la gente di Massarianova precipiti nel sottosuolo, spinti dal tuo consiglio. Ma io non scherzo, tutto quello che ho visto sotto é reale, andateci per credere!
dimenticavo di aggiungere, se non avete alternative migliori, qua sotto c’é posto per tutti! prego passate dal canneto!