Bambini brindisini giocano nel cimitero. L’insegnante Gasparro: “Un messaggio di forza”

Di seguito l’intervista, effettuata dalla giornalista Sonia Gioia, a Rosaria Gasparro, pubblicata oggi sul “Quotidiano” di Brindisi inerente la notizia di bambini brindisini che giocano nel cimitero e di cui  Save the children ne parla nel suo Atlante dell’infanzia (a rischio):

Non è vero che il mondo è tutto brutto e cattivo, e inospitale per le “minoranze” tutte, infanzia compresa. A pochi chilometri da Cimiterolandia c’è San Michele Salentino, uno dei più piccoli fra i paesi del Brindisino, ancora capace di convivenza comunitaria nel senso di villaggio, cioè quel posto dove tutti conoscono tutti gli altri e questo, in qualche modo,significa mutuo soccorso. Una società un po’ più solida che liquida, giusto un po’. Qui vive e lavora Rosaria Gasparro, maestra dell’unica scuola che una volta si chiamava elementare. Per la Treccani “maestro” è “sostantivo ad alta frequenza che ricorre, anche come Predicativo, nel Convivio e nella Commedia”. Ecco, Rosaria è una maestra ad alta frequenza amica dei poeti, che ha esportato insieme ai bambini (e i grandi) l’Attacco poetico di Armando Analìs Pulido sulla calce del Salento. E insieme ai bambini della scuola tutti i giorni recita una preghiera laica di ringraziamento per il cibo, a tutti gli dei della terra e del cielo, unendo alle parole i gesti mutuati da tutte le religioni. Giusto due esempi. Non è il Paese dei balocchi, San Michele, ma i bambini si divertono. Rosaria, campionessa di I like e di condivisioni, si diverte con loro.

Professoressa Gasparro, che effetto le ha fatto leggere di Cimiterolandia?

Raccapriccio per questo paesaggio dell’infanzia inedito, dove il gioco avviene in un campo che si dice santo. E la profanazione non è quella del luogo ma quella che avviene nella sacralità dei bambini. Che devono sperimentare se stessi in relazione con gli altri in uno spazio da racconto dell’orrore. Che devono costruire la loro identità intorno al niente e alla morte. Che si rincorrono tra chi è sepolto, che trovano il loro mare nell’unica fontana. Che cresceranno senza prati senza alberi senza adulti che abbiano cura del loro pezzo di mondo. E se l’infanzia è il suolo sul quale andremo a camminare per tutta la vita, allora non possiamo non avvertire un senso collettivo di colpa per questo abbandono. “Ciascuno cresce solo se sognato”, scriveva Danilo Dolci.
Ma anche fiducia nel coraggio di questi bambini che attraversano il degrado e la povertà ambientale con la forza della loro vita. Che non rinunciano a costruire il loro rituale di giochi, di incontri e di leggerezza, lì dove tutto è pesante a partire dall’aria e dalla terra piene di veleni.

Bimbi in strada, di generazione in generazione. Nulla sembra essere cambiato: il gran parlare d’infanzia è solo un esercizio retorico secondo lei?

Appartengo ad una generazione che ha fatto della strada il luogo elettivo del proprio stare insieme. La strada maestra, dove tutto poteva accadere. Dove imparavamo col corpo. Coi graffi, le sbucciature, le spinte, i calci, gli abbracci. La strada come scuola senza fissa dimora che insegnava con i suoi riti e le sue iniziazioni a credere in noi stessi, in quella strana dismisura del tempo gratuito e senza scopo, che modella il chi siamo nell’incontro scontro col mondo. Penso che bisogna tornare in strada, all’aperto, riappropriarci adulti e bambini degli spazi e riqualificarli insieme, piantando fiori, alberi, seminando erbe e orti, pulendo, dipingendo la bruttezza per darle un altro volto, un altro destino. Non è la strada il problema. È l’abbandono, la perdita di senso e di potere educativo. L’infanzia rifugge dai discorsi. I bambini hanno una grazia speciale e idee fresche da cui attingere. Impariamo ad ascoltarli e a fare insieme una bella storia.

Attacco poetico è la dimostrazioneche una città a misura di bambino è possibile. È così? Oppure la poesia è un affare per grandi?

Attacco poetico è l’ossimoro felice che ha convocato attorno alla poesia una comunità provvisoria. L’umanesimo dei muri, che ci ha fatto scoprire mentre portavamo i versi dei poeti, la poesia del luogo, della gente comune di questo paese lontano dalle rotte che contano. Questa esperienza dimostra che ovunque possiamo prestarci alla vita, arrivare a credere che in un piccolo paese è possibile una grande vita.

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