Lapidi tutte uguali al Cimitero di San Michele Salentino: il TAR boccia la delibera
SAN MICHELE – L’Amministrazione tenta di mettere ordine nel camposanto, per evitare stili e materiali diversi, ma i giudici accolgono il ricorso il ricorso di un artigiano del marmo e annullano l’atto.
La terza sezione del Tar di Lecce ha accolto il ricorso contro il Comune di San Michele Salentino, difeso dall’avvocato Pietro Quinto, presentato da Pietro De Pasquale (difeso dall’avvocato Paolo Sansone).
Il Comune aveva deciso di uniformare il materiale delle lapidi e le lettere da attaccarci sopra. Niente più viti ma solo lettere adesive.
L’artigiano, però, ha ritenuto la delibera contraria persino« al dettato costituzionale». Inoltre, si parlava nel ricorso anche di «eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca ed estrinseca, violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità; violazione e falsa applicazione di alcune norme; violazione e falsa applicazione degli articoli 19 (tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume), 21 (tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione) ed altri punti ancora.
La delibera prevedeva che gli accessori lapidei dovessero essere uniformi a quelli stabiliti dall’Amministrazione comunale e che il concessionario era libero di rivolgersi a qualsiasi fornitore per i predetti accessori, purché si rispetti l’uniformità dei modelli. Quanto alle epigrafi, era stato stabilito che le stesse dovessero essere uniformi, a caratteri adesivi e non perforanti o in incisione.
Secondo il Tar, «
il Comune, pur prevedendo un criterio di uniformità degli accessori medesimi non ne ha stabilito i prototipi o, comunque, le caratteristiche specifiche cui gli stessi devono uniformarsi. Tale circostanza evidenzia la perplessità e la contraddittorietà degli atti impugnati i quali, pur imponendo la rimozione di accessori non conformi a quelli stabiliti tuttavia non consentono di risalire alle caratteristiche ed ai parametri da rispettare. Non risulta, peraltro, convincente la tesi della difesa civica a dire della quale il criterio da rispettare doveva essere quello priorità, atteso che tale criterio, per quanto irrazionale (dato che si lascerebbe completa libertà di scelta al primo) non può ritenersi assolutamente evincibile dagli atti citati».
Fonte: http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=379205&IDCategoria=1