I vizi capitali delle banche

Da ADISTA. Vizi capitali, ovvero i peccati delle banche. È il nome del nuovissimo sito internet – www.vizicapitali.org – lanciato qualche giorno fa da una serie di associazioni e riviste (fra cui Beati i costruttori di pace, Missione Oggi, Nigrizia, Mosaico di pace, Rete italiana disarmo, Ires Toscana, Altreconomia) che intende “fare le pulci” alle principali banche italiane, passando sotto la lente di ingrandimento le loro responsabilità nei processi di impoverimento e di erosione dei beni comuni.

“Le banche hanno assunto oggi un potere senza precedenti”, spiegano i promotori dell’iniziativa. “Da loro passa la maggior parte della ricchezza del Paese, che viene investita in attività produttive, infrastrutture, titoli di borsa e prestiti alle famiglie e ai singoli. Non esiste azienda, ente pubblico o privato che non dipenda, direttamente o indirettamente, dai servizi finanziari di un istituto di credito. Dalle loro scelte dunque dipende la direzione che prenderà l’intera economia e l’impatto che essa avrà sulle nostre vite. Non parliamo solo di tassi di interesse e di condizioni, più o meno agevolate, per accendere un mutuo o aprire un conto corrente. La banca incide sulla nostra vita soprattutto attraverso le aziende o i progetti che decide di finanziare o di sostenere. Dal commercio di armi ai grandi progetti infrastrutturali, talvolta destinati a compromettere per sempre l’ecosistema, dal nucleare ai processi di privatizzazione del servizio idrico, il comportamento delle banche ha ricadute sociali pesantissime, ma spesso volutamente ignorate”.

Come i “vizi capitali”, sette sono anche gli indicatori utilizzati per valutare i comportamento degli istituti di credito: armamenti, impatto sociale, impatto ambientale, paradisi fiscali, tutela del risparmiatore, nucleare civile e privatizzazione dei servizi idrici. E 13 sono le banche messe sotto osservazione, tanto per cominciare: 10 istituti tradizionali (Banca nazionale del lavoro, Banca popolare di Milano, Banca popolare di Vicenza, Banco popolare, Cariparma, Credem Parma, Intesa San Paolo, Monte dei Paschi di Siena, Ubi banca e Unicredit) e 3 ‘atipici’ (Banca etica, Banco posta e Credito cooperativo). Di ogni banca viene segnalato il sostegno a progetti oppure ad aziende con comportamenti irresponsabili rispetto ai sette indicatori, utilizzando fonti di informazione pubbliche – bilanci, comunicati societari, bollettini della Banca d’Italia, di Mediobanca e delle Autorità garanti, atti parlamentari, documentazioni di organizzazioni non governative e altre associazioni, inchieste giornalistiche –, dal 2005 ad oggi.

L’obiettivo è quello di informare per cambiare, con la mobilitazione dei cittadini. “Per quanto potenti infatti, gli istituti hanno un punto debole: dipendono da noi, ovvero dai nostri soldi”, spiegano i promotori. “Siamo noi a decidere se e come alimentare questo sistema. Il nostro sostegno silenzioso, in qualità di correntisti, mutuatari o clienti a vario titolo, finisce per dare ossigeno al comportamento scorretto della banca stessa e, dunque, a quei progetti che alla fine paghiamo tutti in termini di devastazioni ambientali, guerre, povertà, sottrazione di risorse pubbliche e di beni comuni. Su tali comportamenti abbiamo deciso di accendere un faro, invitando ciascuno a fare pressioni sulla propria banca”, scrivendo, chiedendo conto dei comportamenti – sul sito c’è un fac-simile di lettera per gli istituti di credito – ed eventualmente interrompendo le relazioni.

“Le informazioni – aggiungono ancora i promotori – sono a disposizione di tutti, comprese istituzioni, enti, associazioni, comunità religiose e chiunque voglia utilizzarle per fare pressione o decidere come impiegare utilmente i propri soldi, per dare forza al cambiamento. Per non essere più complici”. (l. k.)

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