Mestieri e parole (di Edmondo Bellanova)
Confuso e deluso torno dalla presentazione del volume “Ceglie Messapica Mestieri della memoria” di Michele Ciraci e Nicola Santoro avvenuta a Ceglie, ieri sera, nel Castello.
San Michele Salentino ha visto la sua nascita, praticamente dal 1839, con i primi atti di concessione in enfiteusi dei terreni della masseria San Michele, proprietà dei Dentice di Frasso.
In gran parte gli enfiteuti erano contadini provenienti proprio da Ceglie, allora, Messapico in cerca di nuove e più fertili terre da coltivare e d’altra vita da sognare come proprietari e non più come “operai giornalieri”. Da qui la considerazione che noi sanmichelani siamo figli e fratelli dei cegliesi.
Questa appartenenza è confermata dal dialetto simile in tanti suoni, in comuni soprannomi, mestieri e parentele e non è difficile intravedere quell’unica collettività auspica da Domenico Biondi nella sua idea di ” Messapia” dall’unione dei comuni di Ceglie, San Michele e Villa Castelli!
Per questi motivi mi sono risentito, quando, nella sua presentazione, Vincenzo Gasparro ha parlato del suo paese come di una realtà storicamente in ritardo economico e culturale; una popolazione povera e ignorante con una borghesia tirchia, parassita, anti-operaia, addirittura razzista, un clero corrotto, politici conniventi e artigiani ubriaconi, superbi e schernitori dei contadini, insomma la Beozia della Terra d’Otranto, per dirla con le parole di Giuseppe Elia.
E’ pur vero che Gasparro tracciava i caratteri principali della società cegliese alla fine ‘800 ed inizio ‘900 con l’intento di ripartire dalla cultura per la ricostruzione di una città armoniosa, accogliente ed ospitale e, aggiunge, laica, ma mi è sembrato troppo definire la collettività cegliese “ridanciana” ed in eterna attesa di Godot!
Spero di sbagliarmi in queste considerazioni per non aver capito il senso delle cose dette da Gasparro ed il dubbio cresce, quando rivedo il suo sguardo commosso e risento la voce rotta dall’emozione nel recitare le poesie di Vincenzo di Oronzo. Forse per troppo amore è così severo con la sua Kailìa!
Per fortuna il Sindaco Caroli ha saputo evidenziare aspetti positivi dell’attuale Ceglie impegnata nella ricerca di un migliore futuro economico e sociale contando su una nuova generazione d’imprenditori e studiosi che si e ci fanno onore in tutto il mondo.
Il libro, per uno che come me è alla continua scoperta delle sue “radici”, è un fondamentale strumento di studio e ricerca. Manca un indice dei mestieri e delle persone citate e fotografate; si notano alcune omissioni e non sempre la traduzione del nome del mestiere ,dal dialetto all’italiano, è felice! E’, invece, splendida la descrizione del mestiere, quando gli autori, nei vocabolari, s’impegnano nell’elencazione ed illustrazione d’attrezzi e cose e, quando, ai nomi aggiungono aneddoti e curiosità.
sanmichelesalentino10agosto2012edmondobellanova
Basandomi su ciò che leggo credo di poter commentare che Gasparro ha certamente peccato di troppo amore per la nostra Ceglie. Chi ama profondamente non può accontentarsi della mera contemplazione dell’oggetto del proprio amore. Egli ha diritto di sperare il meglio per questi e ciò lo porta ad essere spietato nell’esame. Il difficile sta proprio nel ritmo del sentimento nel palesare la critica che all’occhio del terzo può certamente apparire non amorevole. Riconosco in quelle critiche molte reali caratteristiche della società cegliese passata e presente che comunque non hanno impedito lo svolgersi di una storia locale nel solco di quella nazionale. Sicuramente encomiabile il lavoro di chi attraverso le immagini recupera al ricordo collettivo ciò che è parentale e familiare, ma occorre anche accompagnare il ricordo sentimentale alla più prosaica critica sociologica.