Il cinema Vittoria (di Nicola Romanelli)

Il cinema Vittoria (Azzarito)

Uno dei passatempi preferiti non solo da Cosimo Barnabbät, ma da tutta Massarianova nelle serate fredde d’inverno, consisteva nel rifugiarsi per un paio d’ore nella grande sala (platea) cinematografica di Azzarito, distendersi al buio e perdere un pò la testa. Il cinema, l’unico di Massarianova, purtroppo era aperto una volta la settimana. Le avventure dei pionieri contro gli indiani era, la pozione di papaverina dei grandi, entravi in un mondo dove galleggiavi e non si avvertiva alcuna asperità, la nuda sedia si trasformava in un sacco di paglia in cui sprofondavi da re.

Una volta la settimana, ho detto purtroppo, ma in verità era anche troppo, la sua frequenza accendeva battibecchi,  e la burrasca, passava nelle coscienze di quei rudi paesani e sconvolgeva la loro serenità. Quei quattro soldi che spendevano per il biglietto, se li ritrovavano sugli occhi abbassati della moglie che si toglieva il pane di bocca per darlo ai figli. E allora quell’ora di distensione, si contorceva in silenzioso tormento di colpa. Per non rinunciare, si badava a passare serate intere nei bar a giocare a scopa e scopone, con sollievo si  rientrava a casa senza aver speso un soldo, e quella sera, il cinema Vittoria, da tutti detto cinema Azzarito, tornava come tutte le altre volte, pieno di gente, seria, abbottonata in giacca di plastica nera.

Se la ridevano sotto i baffi pensando all’indignazione di Paravient ad avere nel proprio locale tante pecore e scarno profitto.

Era una grande sala, la platea, file inchiodate coi sedili ribaltabili di legno. Nell’ampio palco risaltava un immenso lenzuolo bianco. Davanti sedevano i piccoli, dietro i giovani, grandi e per ultimi gli anziani.

Una regola che non si trovava scritto da nessuna parte, ma guai a trasgredirla.   D’altronde nella vita, piena di trappole e impedimenti, l’abitudine non si sa come e perché ha cementato in leggi sacrosante e perfettamente inutili, gesti, parole, modi di dire e di fare.

Dietro in alto, dove si accedeva per una comoda scala, una spaziosa soletta, la “galleria“ leggermente inclinata, immancabilmente deserta. Solo in alcune speciali circostanze traboccava di gente assiepata, con moltissimi in piedi.

Una sera la sala era piombata in un silenzio di tomba, una scena avvincente teneva a bocca aperta tutti quanti, (la papaverina faceva effetto) un branco di selvaggi indiani inseguiva una carrozza tirata da sei neri cavalli. Le urla degli indiani accapponavano la pelle, l’angoscia mista ad orrore per la sorte dei disgraziati nella diligenza ormai segnata contorceva gli onesti paesani.

A tutta briglia, a velocità insensata, le bestie con la bava, venivano avanti, non si potevano più scansare, i loro zoccoli con tutta la carrozza esce dallo schermo e vola sulla platea. Un urlo orribile, fracassi di sedie sradicate, bestemmie e lamenti nel buio, sommergono l’urlo di trionfo degli indiani.

Il ronzio della fumosa sorgente, che come impetuoso torrente, passa dritto su quei moccoloni, improvviso si blocca, torna la luce.

Una frazione prima, però, tutti avevano reagito cercando a tentoni il posto, certuni ancora scossi, venivano brutalmente strattonati e malmenati per essersi seduti in quello del vicino.

Piano piano risate beffarde e rumori di sedie rianimano il cinema. Tutti spaventati e ammirati per la scena “ una cosa forte “ essi stessi commentano. Ne convengono e ammettono che sono stati colti di sorpresa.

Proprio per le “ risate beffarde “ si accendevano zuffe che coinvolgevano tutti, pure quei tali che in tutti i modi ne avrebbero fatto a meno, e provocati reagivano con furia bestiale.

La risata beffarda, la derisione, non il semplice sorriso o ridere semplicemente. No, si derideva per un niente, per avere un sopravvento, per scherzo, per sfottere, una tirata d’orecchie di nascosto, un chichl (noccata) sulla cucuzza di quello seduto davanti, che a bocca aperta seguiva la scena,  un pril che volava nell’alta arcata della platea e l’omerica mischia divampava, avvolgeva tutto come in un pagliaio in fiamme.

Si andava al cinema soprattutto per questo, si parlava del cinema e ci si scaldava  per quanto era accaduto durante. L’uscita per andare a casa per alcuni era precipitosa per altri un grattacapo.

Quando appeso alla parete della “putea” di Azzarito comparivano i manifesti di Tarzan sul paese serpeggiava una strana atmosfera. L’umore dei ragazzini cangiava come marionette tese da invisibili fili. La richiesta martellava i genitori, e la risposta oscillava come ago della bilancia tra si e no determinata dal giudizio sul loro comportamento. Una rara occasione che solleticava i  genitori ad imporre ai figli la gentile educazione senza incorrere una volta tanto nella legge del bastone. Tra il serio e il faceto facevano notare ai figli, che  quando piaceva a loro diventavano malleabili, disponibili, e per riflesso essi stessi più generosi. Voi siete buoni! Anche noi! Lo facciamo per il vostro bene, predicavano, é nel vostro interesse, comportatevi bene e, se ci resta qualcosa, vedremo!

Questa precaria armonia familiare spariva non appena i manifesti di Tarzan venivano tolti dal tabellone sulla parete della bottega di Azzarito. I genitori esasperati tornavano all’educazione del bastone delusi dalle inutili buone maniere.

Per intanto i bravi monelli, giuravano e spergiuravano che sarebbero stati bravi e coscienziosi sempre e promettevano qualsiasi cosa veniva loro chiesto, si piegavano docilmente al ricatto.

La sera della proiezione attorno al tavolo per la cena la tensione dei birbantelli fremeva e mangiavano pure, con stupore della mamma, cibo che in altre circostanze ripugnavano, per non contraddire o indispettire non solo mamma e papà, ma tutti i componenti la famiglia. Questo ed altro erano disposti a fare  per non perdere Tarzan nella foresta vergine, la giungla misteriosa dove la fantasia si perdeva in avventure ad occhi aperti.

Servizievoli, imploranti, siedono a tavola e finalmente Cosimo di buon umore, scherza e i figli si fanno audaci. La brava mamma non vuole che essi, così piccoli, vanno in un posto brutto, frequentato da soli grandi, e poi, è già tardi, si deve invece andare a letto, non è l’ora di uscire.

Cosimo, ai figli insistenti, senza dar retta alle parole della moglie, accenna un veloce occhiolino. Colin e Nzin si lasciano sfuggire raggianti l’euforia che l’invade per il faticoso consenso. Checchia, dal repentino cambiamento, si accorge e prende atto che il marito ha deciso di portarseli al cinema. Finge di niente e insiste con bontà rassegnata a dire che i bravi bambini vanno a letto dopo mangiato. I due intriganti, subito ricomposti, si mostrano docili, promettono alla mamma che vanno a letto, e alla chetichella, incapaci di resistere oltre, sotto gli occhi compiacevoli dei genitori, scappano, ribollendo di felicità, ad aspettare l’arrivo del padre davanti al cinema Azzarito.

L’attesa interminabile li innervosiva, la gente entrava, e la loro allegria, man mano che il tempo si assottigliava per l’inizio del film, diventava delusione, tristezza. L’angoscia gonfiava i loro occhi, nel viso implorante, mentre nell’atrio, Mimmo il bigliettaio spariva dietro il nero telone che separava la platea mentre in strada non appariva neanche un cane. Accovacciati accanto la porta del cinema ormai chiusa, con la testa tra le ginocchia, contenevano la costernazione, si sentivano derubati, avevano posto fiducia cieca in quell’occhiolino del padre.

Lo odiavano. Non gli avrebbero più rivolto la parola. Erano tentati ma si trattenevano: e no, i morti al padre non si potevano bestemmiare!

I sensi erano tesi al massimo, pur stravolti dalla strenua rivolta interiore, un tenue lumicino rimaneva in fondo al loro cuore, la speranza pur fredda, palpitava ancora, l’udito sensibile li teneva immobili ad aspettare.

Ecco un’ombra in fondo all’angolo della strada, ingigantisce, gli occhi fissi, indifferenti ormai, aspettano. La sagoma assai familiare gira l’angolo e con calma avanza verso di essi. Un attimo di esitazione, e senza  frenare  le lacrime che già spuntavano, gli corrono incontro come due cuccioli con guaiti di rimprovero per essere stati abbandonati. Il padre apre il giubbone ed essi uno per lato vi s’infilano. Allo sportello mentre fa il biglietto nascondono  anche la testa sotto, così ha fatto loro credere il padre per non pagare, e passano davanti al controllore zitti zitti, mentre Cosimo divertito mostra tre biglietti.

Quante volte questa scena si è ripetuta davanti il silenzioso complice sorriso del bigliettaio che domandava : “ I tuoi figli non ci sono? Peccato, si sono stufati di attendere e se ne sono andati. “

Oltre il pesante telone, trotterellavano come caprette, senza attendere il controllore che cercava di far luce con una lampadina tascabile, e raggiungevano il posto avanti, subito zittiti dai vicini mentre era in corso la presentazione.

Era quello il momento, o durante la pausa in cui i burloni, per scherzo, voglia di divertirsi alle spalle degli altri, o qualche recondito interesse, provocavano ondate di risate o proteste badando bene a restare anonimi.

Un fiezz contenuto, sibilante simile a un petardo lanciato senza esplodere, si espandeva invadente, prorompente, raggiungeva e copriva di miasmi densi di fagioli, cime di rape, aglio e cipolle.

Un coro di maledizione saettava sulla testa dell’ignoto spifferaio.

A battparet ( a batti parete)

Durante la proiezione del film, dall’inizio alla fine, succedeva di tutto e tutti ne erano coinvolti. Quelle ore passate facevano presa nell’animo dei presenti, e tutto l’insieme, non solo assistere al film, piaceva e li attirava. Non importa se poi rischiavano qualche occhio nero, il naso sanguinante, pugni e graffi. L’avventura nell’avventura, in cui si lasciavano risucchiare da quel vortice turbinoso, con quella furba e passiva filosofia che fa brillare l’oleosa aureola di quei bravi campagnoli.

A Massarianova la vita, riguardo naturalmente il divertimento, era piatta, insipida, non accadeva mai niente, e il tabellone di Azzarito era spiato con trepidazione.

I manifesti nuovi che Azzarito faceva affiggere attiravano quindi l’attenzione e bramosia. Oltre films di banditi e indiani e Tarzan,  venivano seguiti con accanimento le avventure di Dartagnan, quelle spericolate di Zorro, e nei bar per ammazzare il tempo ci si riscaldava lo spirito nel rammentare questo o quella parte, “veramente forte” espressione in voga allora su tutte le bocche, che aveva colpito la loro immaginazione.

I ragazzi gironzolavano con le tasche strapiene e gonfie di figurine, oppure con tintinnante palline di vetro colorato, e ancora con 5 pietruzze rese lisce dal come le maneggiavano: veloci nei riflessi ed abili nei movimenti delle mani, nel raccogliere con una mano i sassolini sparsi a terra, e nell’afferrarli rapidi a volo mentre ricadevano dopo averli lanciato in alto, senza farne cadere alcuno.

E tra tanta specie di bottoni, tantissimi, era raro scorgere una misera moneta, ma se per caso, tirando attentamente dalla tasca un fazzoletto per soffiarsi il naso, ruzzolava a terra, allora come per magia, Colin era nei dintorni.

Colin girava con la sua banda, gli occhi ben all’erta. Contro altri gruppi che scorazzavano per il paese ingaggiava lotte corpo a corpo per tenersi in allenamento e nei momenti di pausa col fiato grosso, approfittava per giocare con le figurine aumentandone il volume, e non bastavano le due tasche laterali. La sua attenzione veniva attratta senza mostrarne avidità, dal luccichio o tintinnio di una moneta. Allora il desiderio del cinema si faceva impellente e l’astuzia gli faceva creare numeri scaltri, come un prestigiatore che tirava dal cilindro conigli e colombe.

Come per caso lasciava risuonare le rondelle che aveva in tasca, e con in mano una moneta da 5 lire, faceva credere che era incerto se giocare con qualcuno a battparet.

Quel tintinnio destava la cupidigia del capo della banda rivale, spinto dall’avidità cadeva nel tranello tesogli.

Nessuno aveva soldi sufficienti per acquistare un biglietto per il cinema, figli di braccianti qual’erano, ma se si vinceva al gioco, 5 lire di qua e di là si aveva la fortuna di andarci a spese di nu mucculon( ragazzo col moccolo al naso).  I compagni disposti ti aiutavano, ti coprivano, illudevano.

La stessa perfidia sottile che usano i grandi, tutto usano pur di attrarti nella ragnatela.

Infine si decide, si gioca. Chi comincia per primo si sa, è svantaggiato per cui si doveva tirare  e accetarre il risultato alla conta.

Quello toccato dalla sorte, lanciava con tutta la forza che aveva la moneta pattuita contro la parete per farla rimbalzare più lontano possibile. Il secondo si regolava sulla distanza, e batteva la sua moneta contro il muro, dosando la forza. Dipendeva dall’abilità e fortuna, se andava a finire quel tanto che con il proprio palmo della mano, mignolo o anulare e pollice toccava i due soldi, erano suoi.

Colin in questo spadroneggiava, ma tante volte non avrebbe potuto avvantaggiarsene proprio per mancanza di soldi. I compagni quando si presentava la ghiotta occasione ben tiravano fuori quello che avevano perché egli potesse partecipare al gioco. Coi soldi vinti, accumulatene a sufficienza per tutti, assieme si andava gongolando al cinema, non senza aver mostrato prima la lingua agli spennati.

Questi dovevano fare ancora i conti anche a casa. Si scusavano raccontando di averla  persa, la cara monetina,  ma non dicevano dove e come, forse nel tirare di tasca il fazzoletto. I genitori non si facevano pigliar per fessi e alle insistenze i figli ammettevano con vergogna tutto quello che essi già immaginavano. Anche loro da piccoli avevano giocato a battparet, ma non avevano mai perso, mentivano bene, e “se non sai giocare, non provarci, citrullo”. E con uno schiaffone ben appioppato dietro il collo lo mandavano a letto, “ così impari per la prossima volta”.

Avveniva spesso che dopo tanto tempo passato a giocare, chi vinceva voleva smettere, e chi perdeva non era d’accordo. Il primo prometteva    di dare la rivincita il giorno seguente, e si allontanava per darsela a gambe, inseguito dai perdenti inferociti. Accadde una volta come tante che la banda Colin venne presa a sassate.

Non potevano tirarsi indietro, rispondere dovevano anche per dare una lezione a quegli incapaci che credevano di vincerti e si lasciavano fregare. Spacconi, pretendevano di aver indietro i soldi dopo averti pure sfidato.

La prima cosa urgente era riempirsi le tasche di sassi.

Era un pomeriggio di marzo assolato, con grossi nuvoloni bianchi sparsi qua e là nel cielo azzurro. Riparati dietro gli scalini delle case in uno stretto vicolo, un gruppetto di ragazzini stava ben attento a evitare i sassi che un altro gruppo trincerato di fronte lanciava loro contro, decisi a spaccare la testa fino a riavere i soldi.

Colin e i suoi compagni se ne stavano tranquilli seduti appoggiati con le spalle al muro. Bastava uno di loro a sorvegliare quei scimuniti. Pur travolti dalla rabbia non avrebbero osato venire allo scoperto per affrontarli. I sassi facevano male se ti esponevi. Tranquillo Colin sotto gli occhi dei compagni contava il bottino e calcolando 20 lire a testa ne aveva giusti per loro cinque.

- Ci bastano – disse appena ebbe terminato e i compagni felici per il significato, urlano di gioia. Li ripone in tasca, annodati nel fazzoletto, e sbircia attento verso gli avversari.

- Mi bastano 100 lire per oggi. Non ne voglio più! – li provoca sarcastico. E i sassi spiovano andando a finire nel campo dietro il muretto alle loro spalle.

Nicola Romanelli

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6 Commenti a “Il cinema Vittoria (di Nicola Romanelli)”

  • nicola romanelli:

    La scena della carrozza non é inventata, l’abbiamo realmente subita, ricordo ancora il terrore di tutti i preseti e me compreso mio fratellino che siedevamo in prima fila.
    Quella scena dei bambini che attendono il padre era reale, vissuta davvero, l’occhiolino ci stregava!
    In platea accadeva di tutto e in piazza, nell case, nei campi si commentava i capolavori del cinema di allora! Tempi davvero favolosi!
    Spero vi sia piaciuto, ma aspettate il meglio deve ancora venire, sapete l’argomento del cinema Azzarito era davvero vitale per Massarianova, ops odierna San MIchele Arcangelo! Ma ai miei tempi si chiamava Massarianova, anni 45-55 !
    Auguri per tutti, che il 2022 sia un anno dall’aria pulita e la pioggia sia buona da bere addirittura nelle pozzanghere come a quei tempi dove circolavano sciarabbal e carri coi cavalli
    Colin

  • midiesis:

    Molti aneddoti e situazioni li ho vissuti anche io. E’ stato un viaggio a ritroso nel tempo.

  • Orazio:

    Colin, mi hai fatto rivivere un passato che non tornera’ piu’. Ammienz la chiaz sciucam alla uer, a battparet a spaccachianchl, alli quatt pizzul…Oggi e’ tutto “smart”…”top”…”in”, ma io mi divertivo piu’ a quei tempi. Sara’ anche perche’ piu’ giovane?! Un caro saluto e buon anno. Orazio

  • Ciao Nicola ricordo tutto ciò che hai riportato su questo aneddoto di giovanotti, ma io voglio aggiungere che delle volte ci si aiutava se a uno di noi avanzava 10 o 20 lire li davamo in prestito al compagno per comprarsi il biglietto. Auguri Nicola del nuovo anno.

  • Colin:

    Ciao Orazio, se sei il figlio del Prof.Azzarito, allora sei il mio compagno di giochi assieme a Felice e Pierino Ligorio e tanti altri!
    Erano altri tempi i nostri, severi come i nostri maestri e genitori, ma a noi piccoli non pesava
    Il duro trattamento, avevamo la grande fantasia di tuffarci in infiniti giochi e questo ci rendeva liberi e felici.
    Ti auguro caro Orazio, ancora quella fantasia che rende liberi dai legami del tempo, sempre intenti a raggiungere desideri e ideali.
    Un caloroso abbraccio
    Colin

  • Colin:

    Ciao Felice,
    eravamo inseparabili da piccoli, dopo scuola si andava in gruppo per strade e campagne in cerca di avventure!
    Si, ricordo che trovavamo metodi per racimolare soldini, per permettere ai nostri compagni di andare al cinema, come vincere a battparet contro gruppi diversi o copiare biglietti del cinema Azzarito per farne 20 e entrare gratis al cinema!
    Eravamo bimbi ma furbi e pieni di iniziative!
    Vi porto nel cuore, i ricordi da piccolo non si dimenticano mai anche se oggi faccio fatica a ricordare ciò che ho mangiato ieri!!!
    Ti abbraccio
    Colin

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